“Noi, ragazze di In Volo vi raccontiamo il nostro DCA, i desideri, le speranze”

Parole, desideri, aspettative e progetti delle ragazze ospiti di “In Volo” a Parma – residenza per trattamenti riabilitativi biopsicosociali a trattamento estensivo per DCA – sono diventati una mostra artistica, “Riflesso”, in occasione della recente Giornata nazionale del fiocchetto lilla contro i disturbi del comportamento alimentare (DCA). Sono stati esposti gli elaborati nati dalla partecipazione delle giovani ragazze al “gruppo di psicodramma” tenuto dalla psicoterapeuta Manuela Manara, e proiettato un filmato nel quale senza imbarazzi né reticenze le ragazze di “In Volo”, non si sono limitate a raccontare il loro malessere, attraverso un’opera pensata e direttamente realizzata, ma hanno aperto e condiviso i propri diari personali.

Di seguito, alcuni stralci delle loro toccanti testimonianze.

 

È importante avere una data simbolo

“Giulia, nell’attesa di essere ricoverata per bulimia, è scomparsa all’età di 17 anni. Ancora oggi tante Giulia senza un nome si spengono nelle loro camerette senza aver dato un significato al loro malessere. È stato designato il 15 marzo come data simbolo per permettere la divulgazione e la conoscenza dell’esistenza dei disturbi del comportamento alimentare; oltre che per ricordare come la disinformazione e la mala valutazione della situazione abbiano compromesso il futuro di Giulia. La Giornata nazionale dei DCA viene raffigurata con un simbolo, il fiocchetto lilla, che racchiude 30 anni e più di lotta contro questi disagi silenziosi e invisibili. È necessaria consapevolezza individuale e sociale di fronte all’aumento dei casi negli ultimi anni… I DCA sono disturbi del comportamento alimentare riconosciuti a livello psichiatrico, malattie debilitanti a livello mentale e poi fisico. L’origine di questa patologia dipende da diversi fattori ed è caratterizzata dalla crescita di pensieri ossessivi verso il proprio corpo e l’alimentazione in generale. Intacca diverse sfere della vita dell’individuo come la scuola, il lavoro, le relazioni interpersonali e familiari. Se non curata in maniera tempestiva può portare alla morte…”.

 

I segnali per riconoscere l’insorgere di un DCA

“Spesso riconoscere di avere un disturbo alimentare può essere complicato. In questa società molti comportamenti legati a un DCA sono normalizzati, ne ostacolano il riconoscimento sia da parte dei familiari sia in chi ne è affetto. Quando si soffre di questi disturbi si tende a sfogare il proprio malessere attraverso il cibo e il corpo, che diventano il centro delle tue preoccupazioni e dei tuoi pensieri. Ti ritrovi a dare loro un’importanza esagerata. In alcuni casi compare un disturbo della percezione corporea, chiamato anche dispercezione o dismorfismo corporeo, che porta le persone a non riuscire a vedersi per come si è in realtà. Quando si soffre di DCA spesso ti sembra di avere tutto sotto controllo. Ti dici: “tanto posso smettere quando voglio”, ma non è così. I DCA non sono una scelta, quello che ti portano a fare non dipende da te ma dalla malattia, che cerca di comandare ogni tua azione. Chiedete aiuto se riconoscete questi segnali. All’inizio può sembrare ci siano lati positivi, ma in realtà è un’illusione”.

 

Siamo il tronco e la stessa ascia che, colpo dopo colpo, ci abbatte

“Non ritengo ci sia un vero e proprio modo per capire di soffrire di DCA. Non esiste alcun canone prestabilito cui il disturbo si attiene. Ogni persona lo vive diversamente: nei pensieri e nei comportamenti. Specialmente all’inizio molte, troppe persone rinnegano le proprie difficoltà. Dei sintomi legati ai DCA ne sono conosciuti soltanto alcuni, ed è eccessivamente ristretta anche l’informazione sui segnali di allarme, che vengono svalutati, sminuiti, non presi seriamente in considerazione. Le persone che ne sono affette facilmente possono sentirsi inadeguate, insufficienti nel dolore che vivono, convincendosi che vada tutto bene, di avere il pieno controllo. Con l’impossibilità di rendersi conto di quanto la situazione diventi rapidamente critica. Noi, malati di queste patologie, siamo il tronco e la stessa ascia che, colpo dopo colpo, ci abbatte. A causa della mancata consapevolezza che aleggia attorno al termine DCA che viene visto solo come una sigla, un hashtag popolare, un fiocchetto carino e colorato. Ma quello che c’è dietro lo conosciamo solo noi…”.

 

Guardate negli occhi la persona che vi sta accanto…

“Riconoscere di avere un DCA non è semplice, né per chi ne soffre né per le persone esterne. Ad oggi ne soffrono migliaia di persone la cui vita si spezza. I tipi di DCA sono tanti, e tutti diversi, ma accomunati dall’odio verso sé stessi e dallo sfogare i propri problemi attraverso il cibo. Non sono capricci, ma malattie mentali, serie, difficili da riconoscere soprattutto oggi, in cui le ‘diete fai da te’ sono le prime nella barra dei motori di ricerca online. Dove su Instagram ti vengono mostrate foto di modelle con un corpo perfetto e i disturbi alimentari sono molto romanticizzati. Un DCA ti parte da dentro, entra in una sorta di simbiosi con te. La ‘vocina’ si fa sempre più grande, ti inebri di lei, ti rapisce e tu ti innamori della tua rapitrice. Faresti di tutto per rimanere con lei, allontani tutti i tuoi amici perché alla fine l’unica vera amica è lei. Così ti ritrovi che da un giorno all’altro il controllo della vita non è più tuo, ma suo, della tanto amata malattia. E quando provi a lasciarla andare, lei si mette contro di te, ti fa credere di nuovo che solo lei potrà farti stare bene, ma non è così. Lei urla, grida, e ti lascia con un immenso vuoto dentro, che però dagli occhi, dallo sguardo, si percepisce. Quindi per riconoscere un DCA, guardate negli occhi la persona che vi sta accanto e chiedetele cosa non va. Se notate qualcosa di strano, aiutatela e ricordatevi: nessuno si salva da solo”.

 

Quelle frasi che mi hanno fatto stare particolarmente bene. E male…

“Non è un’autostrada, liscia e comoda, ma la strada verso la guarigione è un sentiero di montagna impervio e faticoso, duro e ripido, che però alla fine ti porterà al panorama più bello che si possa vedere: la tua vita nelle tue mani, libera dalla malattia. Una frase che mi ha detto Matteo, una persona importante…”.

“Una frase che mi ha sempre incoraggiata, sia durante la malattia che nel mio percorso di guarigione, che ho appena intrapreso, è: ‘la vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare’. È una frase di una famosa canzone che ho anche tatuato perché mi dà forza e mi ricorda che toccare il fondo non vuol dire voler cadere in basso, ma che da quel fondo si può sempre risalire per spiccare il volo”.

“Una frase che mi sono sentita dire spesso e mi ha fatto stare molto male è ‘non sembri tanto magra per essere anoressica‘. Questa frase, anche se so che nasce da molta disinformazione, mi ha sempre fatto sentire non abbastanza, come se la mia malattia non valesse nulla. È per questo che bisogna fare informazione sui DCA e far capire che non è il corpo a determinare un disturbo alimentare”.

“Una frase che mi ha fatta stare male, o meglio, che mi ha aiutata ad avere consapevolezza, è stata: ‘Se continui così finirai per spegnerti. Riprenditi la tua vita in mano per favore’, facendo sì che io potessi effettivamente capire quanto stessi sprofondando a causa di una malattia che non mi faceva ragionare”.

“Una frase che mi ha fatta stare bene è stata: ‘Cerca di essere forte, so che non è facile… ma so anche che puoi farcela, torna ad essere libera! Non pensare che siamo noi a voler controllare la tua vita, non essere arrabbiata per questo. Siamo qui per aiutarti ad abbattere gli schemi che la tua mente ha creato e ti rendono schiava di una vita che non ti appartiene. Riprenditi la tua vita, solo allora potrai essere libera e felice! Ti voglio bene”.

“Una frase che personalmente mi mette a disagio è il classico: ‘ti vedo bene‘. Se l’intento è quello di far sentire meglio la persona malata, dentro l’animo di una persona sofferente succede tutto il contrario. Infatti, questo per una persona affetta da un DCA potrebbe essere motivo di disagio e di forti sensi di colpa, poiché può significare che ci si sta allontanando dalla dipendenza dalla malattia. Mentre il distacco dalla malattia è un processo lungo e doloroso, intriso di paure e di senso di inadeguatezza. La gradualità della reintroduzione di esperienze ormai in disuso e di momenti di convivialità possono mettere a dura prova una persona sofferente, e le parole in questi casi possono risollevarti o farti sprofondare tra le lacrime”.

“Una frase che mi ha fatta stare male durante il percorso di guarigione è stata detta da una collega di mia mamma: ‘pensavo di vederla peggio‘, commentò mentre mi trovavo in ospedale in brutte condizioni. Questa, o frasi simili, possono scatenare nella persona che soffre di questa malattia pensieri negativi e anche molto ossessivi, tanto da portarla a voler stare peggio perché ci si sente troppo poco malati… Una frase che mi ha fatta stare bene, al contrario, è stata detta dal mio amore non corrisposto un giorno durante una passeggiata: ‘non ti vedevo ridere da troppo tempo, quando lo fai sei bellissima…’. Mi sono sentita amata dopo tanto tempo”.

“Una frase che mi ha fatta stare molto male è stata detta da una mia professoressa che, senza alcuna sensibilità, si è permessa di paragonare il mio fisico a quello di sua figlia, invalidando il mio stato di salute mentale…”.

 

Quanta disinformazione… Perché non bisogna vergognarsi di soffrire di un DCA?

“I disturbi alimentari sono malattie che portano a credere di doverti vergognare di tutto ciò che fa parte di te stessa, sotto tutti i punti di vista: l’aspetto, l’immagine, i modi di porti, persino i pensieri. Inizi a sentire in testa una voce che dice come comportarti e senza che te ne accorgi finisci per innamorartene, a tal punto che la seguiresti fino in capo al mondo, senza renderti conto che più la ascolti più ti consumi, ti logori, sparisci quasi del tutto. Finché di te non rimane il tuo fantasma o un ricordo sbiadito. Non credo ci si debba vergognare di soffrire di un disturbo alimentare perché non è una sorte che è dipesa direttamente da chi la subisce. Nessuno sceglie le sfide e i dolori della propria vita, in qualunque forma essi si manifestino. Non credo nemmeno al destino o alla predestinazione, non possiamo scegliere le nostre battaglie, ma possiamo scegliere se e come combatterle, se lasciarci andare e smettere di lottare o scegliere la vita. E se nel soffrire di un DCA non ci deve essere la colpa o la vergogna, nel combatterlo vi è il merito e la ricompensa di una vita che valga la pena di essere vissuta”.

“Non bisogna vergognarsi di soffrire di un DCA perché è una malattia che ti coinvolge psicologicamente e non è un tuo volere o un capriccio, ti viene e basta. L’unica alternativa è combattere contro di essa e cercare di sconfiggerla piano piano”.

“Non mi vergogno di soffrire di un DCA. Sono ossessionata da qualsiasi numero, mi misuro il corpo, ogni circonferenza possibile con qualunque mezzo. Tutte le superfici riflettenti generano insulti gratuiti nella mia testa, verso me stessa. Utilizzo il cibo come mezzo di comunicazione e attraverso lui urlo, urlo in continuazione. Ma nessuno ovviamente mi sente. Vivo in un mondo dicotomico, bianco o nero, risate a crepapelle o pianti impetuosi, amo o odio. E se non è perfezione, è autodistruzione. Di tutto questo mi dovrei vergognare? No, non me ne vergogno. Perché da anni combatto costantemente questi miei pensieri, ma so per certo che un giorno di questa battaglia rimarranno solo cicatrici, e ogni qual volta mi cadrà l’occhio su di esse potrò ripetermi ad alta voce: ‘io ce l’ho fatta’. E per questo no, non me ne vergogno”.

“Non mi vergogno perché come ogni malattia va presa sul serio, validando i pazienti, non pensando che dietro questo grande dolore che provoca sofferenza sia fisica che mentale ci sia un capriccio. Il nostro dolore è valido come tutte le malattie e non bisogna provare vergogna, ma chiedere aiuto perché questa malattia ti isola, ti riempie di sensi di colpa e non si ha il coraggio di dire sto male. Validate il dolore dell’anima e della mente di chi soffre di questa malattia. Perché di questo si tratta, con sensibilità, cura e amore”.