“50 sfumature di presenza”: i nuovi media nell’educazione

Un’ampia e sentita partecipazione, contributi di spessore su cui confrontarsi, un momento speciale per tanti studenti per incontrarsi nuovamente, seppure a distanza. È stato ricco di significati l’Open Day 2020 dell’Istituto Toniolo, svoltosi online lo scorso 13 giugno. “50 SFUMATURE DI PRESENZA. Rischi, importanza e potenzialità dei nuovi media nell’educazione e dell’educazione ai nuovi media” era il titolo del seminario a cura di Beniamino Sidoti, scrittore, giornalista e autore di giochi. Le docenti Annamaria Roncaglia, Cristina Codeluppi e Cristina Medici, con anche un intervento di Giulia De Simone, studentessa, hanno trattato di “Esperienze concrete 0-6, tra comunità, scuola e famiglia!. La professoressa Daria Vellani ha illustrato il laboratorio pratico “Didattica a distanza per DSA e BES”. La giornata si è conclusa con una presentazione del Corso di Laurea a cura della segreteria.

 

Di seguito, una riflessione di Beniamino Sidoti.

“La presenza è una qualità, una qualità essenziale della comunicazione, dell’educazione e della formazione: è un modo di guardare a queste discipline vedendo quanta presenza passa attraverso il modo in cui scegliamo di dire ciò che diciamo. Questo è ancora più vero in questi mesi in cui siamo stati separati e divisi, e tenuti insieme, con-presenti, solo attraverso i mezzi di comunicazione e le piattaforme di didattica a distanza. La presenza è ciò che si crea quando azzeriamo o accorciamo la distanza, ed è un punto fondamentale di ogni relazione educativa e comunicativa.

Di presenza, dunque, ho parlato sabato 13 nell’Open Day dell’Istituto: non in modo filosofico (e pure si potrebbe, con risultati interessanti), ma nella pratica, cercando di vedere come il tema della presenza attraversi tutto ciò che facciamo, e i mezzi che cerchiamo di usare.

Sono presente, per esempio, e lo sono stato volutamente, quando chiedo qualcosa, quando interrogo il pubblico, quando pongo una domanda aperta. Sono presente, per assurdo, quando faccio una violazione del patto di con-presenza, e mi alzo un attimo mettendo sottilmente a disagio chi ascolta e costringendo a fare qualcosa. Creo effetti di presenza quando parlo di qualcosa che abbiamo già visto, e non conosciamo del tutto. Creo effetti di presenza quando interagisco con le parole degli altri, quando leggo la chat o guardo negli occhi. Creo effetti di presenza se propongo un gioco o suscito istanze di partecipazione. Sono presente se improvvisamente leggo qualcosa, se racconto un aneddoto, se esco da un flusso per entrare in un altro.

Tutte cose che si sanno prima di riconoscerle: e che lette per iscritto su un articolo ci riportano immediatamente lì, dove ci siamo incontrati, oppure ci spostano altrove. Ciò che sappiamo della presenza, in fin dei conti, affonda nei modi di cominciare una storia o di avviare un gioco. Quando raccontiamo una storia diciamo “C’era una volta”, e ci proponiamo di muoverci insieme in un tempo altro; oppure anticipiamo dicendo ciò di cui parlerò (Le donne, l’arme e gli amori; oppure l’ira funesta). Quando lanciamo un gioco chiediamo chi vuole giocare, e magari lo invitiamo a mettere un dito sotto il palmo aperto della mano. Sono due gesti diversi, che fanno appello rispettivamente all’immaginazione e ai corpi; chiediamo di spostare la propria capacità di proiettarsi nell’immaginario o il proprio corpo, fino a mettere un dito sotto.

Di questo abbiamo parlato: di presenza, cioè della capacità di far spostare gli altri. Ne abbiamo visto qualche rischio, e io ho cercato di mettere qualche voglia: di suscitare l’amore per un mestiere che è anzitutto accompagnare delle persone in un percorso che li porterà assai lontano”.