La Corte: 20 anni tra sfide, conquiste e complessità

Vent’anni, un ragguardevole traguardo per la Comunità socio-educativa di Modena La Corte, festeggiati con il protagonismo degli ospiti e aprendosi alla cittadinanza.

“Nella nostra Comunità – spiega Sonia Taddei, viceresponsabile La Corte– offriamo la possibilità a minori e giovani adulti con situazioni multiproblematiche, soprattutto di carattere familiare, di essere accolti e di usufruire di progetti educativi e di tutela. Parliamo di minori inviati dai servizi e MSNA di età inferiore ai 16 anni. Abbiamo 12 ospiti in Comunità più un modulo di semiautonomia per 4 ragazzi e un appartamento esterno di ‘alta autonomia’ che può ospitare anch’esso 4 persone. Una decina gli operatori, un’équipe composta da educatori formati spesso affiancati da studenti in tirocinio universitario proveniente da differenti ambiti formativi (psicologia, sociologia, e ovviamente pedagogia e scienze dell’educazione). Diamo priorità allo studio, alla formazione scolastica e professionale, in particolare per i MSNA, assieme a percorsi dedicati di alfabetizzazione. Attiviamo percorsi professionalizzanti laddove gli enti territoriali ottengono condizioni per la loro realizzazione, promuoviamo attività ricreative e sportive sul territorio. È possibile avviare un percorso di sostegno psicologico e/o neuropsichiatrico per i ragazzi, così come per le famiglie esiste l’opportunità di un sostegno alla genitorialità o psicologico”.

La festa per il 20° compleanno

“Le feste sono un appuntamento abituale per noi, in particolare alla chiusura delle scuole – prosegue Taddei – per il 20° compleanno volevano fare qualcosa di speciale. La festa è stata pensata da noi operatori più ‘anziani’ con l’obiettivo di aprirci alla cittadinanza invitando, oltre alle famiglie, ospiti esterni, amici, coloro che, come diciamo noi, ‘ ci girano attorno’ ma in Comunità non erano mai venuti. Avevamo preparato le cose in grande con eventi e stand all’aperto, ma il maltempo ci ha costretto a spostare i festeggiamenti al bar Arcobaleno. È andata comunque splendidamente, in tanti hanno apprezzato il nostro menù multietnico preparato dai ragazzi stranieri, così come le torte che ci hanno donato gli ‘amici’ de La Barca. Abbiamo cantato e ballato, è stata una bella festa”.

La Corte, osservatorio di cambiamenti sociali

“Nel corso di questi due decenni la struttura è stata un osservatorio informale di una serie di cambiamenti sociali dei quali gli adolescenti nostri ospiti sono stati testimoni e portatori molto trasparenti- sottolinea Roberto Malaguti, responsabile La Corte -. In prima istanza, e direi in ordine di importanza per quanto attiene alla nostra capacità progettuale, abbiamo osservato il grave venir meno delle opportunità delle varie forme contrattuali snelle che nel passato hanno potuto permetterci di dare ai nostri giovani ospiti l’opportunità sempre molto utile di far loro intraprendere percorsi più o meno brevi di inserimento lavorativo. In passato si chiamava ‘borsa lavoro’ e veniva svolta con grande soddisfazione delle parti”.

“Un secondo trend di cambiamento riguarda l’utilizzo di sostanze stupefacenti. Negli ultimi anni la diffusione di THC è diventata più capillare e il suo uso più consueto. Non in pochi casi si osserva un consumo abituale, che trascende talvolta in abuso fino anche alla dipendenza. E ancora, abbiamo poi osservato un costante ma inesorabile sfilacciamento delle competenze genitoriali. Il dramma dell’allontanamento non riguarda più coppie già precedentemente afflitte da gravi problemi (tossicodipendenza, indigenza, disturbi psichiatrici etc.), ma anche persone che più semplicemente non hanno avuto gli strumenti educativi necessari per affrontare situazioni inedite nel panorama conosciuto: da un ‘semplice’ abbandono scolastico alla violenza di strada, dal citato uso di sostanze all’uso dei dispositivi elettronici con funzioni di surrogazione della socialità (e in ultima istanza della realizzazione personale), fino ad una apatia trasversale e disperante”.

MSNA, una delle sfide più “brucianti”

“Infine – prosegue Malaguti – l’ampio tema dei MSNA, le cui storie migratorie sono sempre più spesso tentativi disperati di riscatto non più solo da una conclamata povertà, ma soprattutto da deprivazioni socio culturali, oltre che affettive, sempre più profonde. I MSNA che giungono principalmente da Nord Africa, Pakistan e Albania cercano di affrontare la vita non fidandosi più degli adulti che incontrano quanto piuttosto dell’istinto di sopravvivenza. Questa è senza dubbio una delle sfide più brucianti degli ultimi anni, che pone la nostra, come anche le altre Comunità di accoglienza, su piani di lavoro fino ad oggi mai esplorati (e occorre dire che ci si pone sempre con spirito resiliente)”.

Le piccole e grandi conquiste dei ragazzi

“Certo, non mancano i successi che si potrebbero citare. Sono molti i ragazzi che arrivano a piccole e grandi conquiste: l’emancipazione dagli affetti più oscuri, l’ottenimento della patente, un diploma scolastico, un contratto di lavoro accompagnato dalla stima che si legge negli occhi del titolare dell’azienda. In media sono 4 gli anni di permanenza in Comunità, talvolta raggiungono i 6/7; un periodo molto lungo e che vede fasi alterne, che in questi casi presenta però un trend costante di crescita. Il convitto, un appartamento di svincolo, ‘Lo Zaino’ che da sempre completa il progetto di Comunità (e prima ancora ‘il Portico’, un appartamento di semi-autonomia che però negli anni ha cambiato vocazione ed ora è prioritariamente dedicato all’ accoglienza SAI MSNA) consente di estendere il raggio di azione oltre la maggiore età laddove i percorsi siano particolarmente meritevoli”.

L’équipe, un punto di riferimento di fronte alle complessità

“La comunità non ha un ‘follow up’ sui suoi ospiti, ma non di rado l’équipe scopre di essere punto di riferimento di ragazzi accolti anche molti anni addietro, che tornano per un saluto, per portare in mostra una famiglia qui o forse una sorella sposata al paese natio – conclude Malaguti -. Ultimamente sempre più ragazzi tornano da noi nella speranza di un aiuto per un alloggio, un enorme problema strutturale che rappresenta un rilevante rischio di fallimento per i più fragili. In tutto questo l’équipe educativa ha sempre cercato di darsi un elevato livello di qualità nel servizio. Il primo parametro che crediamo possa indicare la buona riuscita di queste intenzioni è il basso tasso di ricambio dei membri, con anzianità di servizio medie di 6-7 anni. Questo è indice di una salute complessiva, in quanto solo grazie ad una puntuale manutenzione (grazie alla supervisione) e formazione (che il Gruppo negli ultimi anni ha progressivamente calibrato su ogni servizio) è stato possibile fare fronte alla complessità, non di rado pesante e sfibrante, che rischia di affliggere ogni persona che qui sceglie di restare a lavorare. Un secondo parametro è il lavoro di rete, che via via negli anni è stato riconosciuto dai soggetti sul territorio che, ognuno per la loro specificità, lavora insieme a noi sui vari casi. Essere riconosciuti come punto di riferimento affidabile e credibile, un gruppo di lavoro il cui parere e capacità di osservazione risulta essenziale nel gestire la complessità delle situazioni, è senza dubbio una conferma della bontà del nostro lavoro. Per i prossimi 20 anni gli obiettivi restano gli stessi, perché crediamo che siano quelli giusti; ma siamo convinti che il cambiamento continuerà a soffiare sulle nostre vele, e altre scoperte e altri lidi faranno sorprendere noi e chi ci accompagna in questo viaggio”.

Vent’anni dopo, lo stesso stile e impegno come educatori

“Quando abbiamo iniziato a pensare una Comunità che accogliesse minori sul territorio modenese, eravamo nel giugno 2003, non avevamo dubbi sul tipo di accoglienza che volevamo offrire ai ragazzi – evidenzia Alessio Costetti, oggi coordinatore servizi socio-educativi CEIS e uno dei fondatori La Corte -. Da subito ci siamo detti che la molteplicità delle esperienze e la multiculturalità erano per noi un valore e non una criticità. Questo operativamente ha significato accogliere ragazzi italiani e stranieri, ragazzi provenienti dal circuito penale, ragazzi con disabilità fisiche e lievi ritardi mentali. L’eterogeneità è ricchezza, le evidenti difficoltà dell’uno generano nell’altro comprensione, empatia e una positiva attivazione personale. Il luogo doveva essere bello perché la cura del bello è un processo educativo, ovvero educare i ragazzi a preservare la ‘casa’ che è di tutti, anche di chi viene in visita, non solo svolgendo le mansioni quotidiane. L’équipe doveva essere professionale ma soprattutto rispettosa della persona, della storia di vita e della famiglia, motivata nel cambiare le traiettorie dei ragazzi e desiderosa di conoscerli e di mettersi in gioco facendo esperienze con loro. Con l’obiettivo, ‘semplicemente’, di fare stare bene. A distanza di 20 anni possiamo dire di riuscire ad essere educatori con lo stile e l’impegno di allora, che continuiamo a trasmettere ai nuovi colleghi. Vorrei ringraziare tutti i ragazzi che in questi anni ci hanno manifestato la loro vicinanza, ci hanno ringraziato e ci hanno resi partecipi del raggiungimento dei loro obiettivi. A chi invece non ci è riuscito vorrei dire grazie per averci lasciato un loro ricordo e per averci fatto riflettere e confrontare sul nostro operato. A tutti i colleghi con cui ho lavorato un grazie di cuore e di riconoscenza”.