Padre Giovanni Mengoli *
E’ fondamentale che l’opinione pubblica conosca le procedure che portano all’allontanamento di un bambino da nucleo familiare, onde evitare i luoghi comuni nei quali i cittadini “cascano” a causa della strumentalizzazione mediatica e politica dell’informazione che, a partire dall’indagine su Bibbiano, sta portando a creare un clima di sfiducia verso le istituzioni preposte alla tutela dei minori (Tribunale dei minori, servizi sociali e sanitari, sistema dell’accoglienza), che sono il vero interesse che sta a cuore a tutti noi.
Ricordo che le segnalazioni su presunti abusi, maltrattamenti o inadeguatezza genitoriali partono da scuola o da privati cittadini e, attraverso i servizi sociali, raggiungono il Tribunale dei minori che apre un fascicolo sul caso. Una modalità molto in sintonia con la nostra Costituzione.
La Costituzione infatti non è mai neutra rispetto all’agire sociale, ma domanda sempre solidarietà e responsabilità. L’idea di fondo è che siamo tutti responsabili di tutti, e specialmente della crescita delle nuove generazioni. Per questo non è accettabile chiudere gli occhi, e far finta di non vedere l’odierna crisi dell’infanzia e dell’adolescenza, che vede sempre più ragazzi allo sbando. Dove nasce questo disagio? La risposta il più delle volte porta alle famiglie, in quanto il primo nucleo su cui è fondata la nostra società.
Importante poi precisare come lavora il Tribunale dei minori, che procede sempre in modo collegiale, a tutela del disagio dei minori nelle famiglie in cui vivono. Se questa modalità può ammettere l’errore, basandosi su valutazioni ipotetiche, garantisce tuttavia che su minori che vivano disagio in famiglia, manifestato con segnali ben visibili, si possa comunque intervenire, piuttosto che congelare la situazione in mancanza di prove schiaccianti, come se fosse applicabile per essi il detto: “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
Per questo è decisivo che all’opinione pubblica sia consegnata una rappresentazione reale dei numeri dei minori realmente allontanati, sul totale dei minori che i servizi sociali hanno in carico per segnalazioni da scuola o da privati cittadini. Nella nostra regione, sul totale dei minori in carico, una percentuale certamente molto bassa.
Inoltre è importante chiarire definitivamente che non si allontanano i minori da una famiglia solo per problematiche economiche; infatti i servizi sociali hanno altri strumenti, certamente meno costosi, per sostenere i nuclei con disagio economico. E ancora, che i servizi sociali hanno molte altre azioni a disposizione per vigilare sulla tutela del minore (osservazione in famiglia, gruppi socio-educativi, comunità semi-residenziali, ecc…) prima di procedere con l’allontanamento, che di norma il Tribunale dei minori decreta dopo una serie di altri decreti provvisori pronunciati in precedenza.
E’ chiaro a tutti, comunità di accoglienza in primis, che l’allontanamento di un minore (affidamento residenziale o inserimento in comunità), tanto più se parliamo di un bambino, non si fa mai a cuor leggero, ma è sempre una decisione sofferta, che deve essere sempre temporanea (massimo due anni, cfr DGR 1904/2011) con il preciso scopo di fare di tutto per recuperare le competenze genitoriali che mancano alla famiglia per far crescere il proprio figlio in modo che sia una risorsa per la società futuro. Se poi il principio fondamentale della temporaneità dell’affido si scontra con il fatto che mancano le risorse per lavorare con le famiglie, si deve aprire un altro discorso che è quello dell’allocamento delle risorse!
Occorre oggi vigilare perché la politica e i media non facciano “di tutta un’erba un fascio”: rigore nel punire singoli illeciti ed abusi (che ritengo più frutto di valutazioni sbagliate ma non in malafede), ma salvaguardia verso un sistema di welfare a favore dei minori, che resta un modello per tanti Stati del mondo. Senza “gettare fango” verso coloro che, sia nel pubblico che nel privato sociale, esercitano con serietà la loro professione.
Sono consapevole che come gestore di comunità per minori e comunità familiari la nostra posizione può essere ambigua, perché sospetta di ritorno economico, ma chi fa il nostro lavoro ha a cuore la società, e sa bene di “lavorare per non esistere più”, perché in un mondo perfetto i bambini e i ragazzi è bene che crescano e siano educati nella loro famiglia naturale.
Per perseguire il mondo migliore possibile occorre crescere nella fiducia reciproca e nel rispetto tra tutti i ruoli della filiera che concorre alla tutela dei minori: genitori, scuola ed altre agenzie educative, servizi sociali e sanitari, Tribunale e Procura dei minori, comunità minori, case famiglia e famiglie affidatarie, consapevoli che ognuno è chiamato a fare il suo pezzo, per il bene delle nuove generazioni.
Occorre inoltre che la politica sostenga la famiglia come primo nucleo della società, da tutelare e rinforzare, specialmente in tutte quelle situazioni di precarietà e fragilità dove la capacità genitoriale è compromessa, e i figli rischiano di crescere in ambienti non educanti. Questo appunto per avvicinare le famiglie alle istituzioni, specialmente quelle con maggiori difficoltà, in modo che, al momento del bisogno, sentano che valga la pena domandare aiuto agli enti preposti, senza la paura di essere giudicate e/o che si vedano portare via i figli.
*Presidente Consorzio Gruppo CEIS
Coordinatore Rete tematica “MINORI” della FICT