di Marco Sirotti*
Fu un caso fortuito il mio arrivo al CEIS. Laureato in Psicologia a Padova, avevo urgenza di svolgere il tirocinio. Mi dissi: “Mi interessano le famiglie…”. Mi recai così all’AUSL, quindi da privati che si occupavano di terapia familiare… La risposta era sempre la stessa: “Le faremo sapere”.Ormai affranto, bussai alla porta del CEIS, mi accolse l’allora direttore generale Mario Dondi. “Sì, ho proprio bisogno… nelle tossicodipendenze, qui all’accoglienza in via Toniolo”.
Mai avevo pensato alle dipendenze come sbocco lavorativo, le avevo accuratamente schivate persino nel percorso di studi. Neppure i seminari in Facoltà avevo frequentato.
“Vengo subito, sono pronto”, fu la mia risposta.
Mi trovai bene, il mio maestro fu un educatore storico, un ex utente che aveva seguito il “programma”. Il CEIS, da sempre, crede moltissimo nelle équipe multidisciplinari con all’interno, come operatori, ex tossicodipendenti. Perché portavano a un’immedesimazione, erano uno stimolo per tutti. “Se ce l’ha fatta lui, anch’io riuscirò…”.
Walter Fusari è stato dunque il mio mentore. Eravamo nel 1997. Mi ha insegnato l’approccio, l’accoglienza, la mancanza totale di giudizio che occorre avere in queste situazioni. Perché tossicodipendenza vuol dire illegalità, devianza, prostituzione.
Fu Walter, oggi purtroppo scomparso, che raccomandò la mia assunzione al coordinatore di allora.
Il destino ha voluto che in seguito diventassi il suo direttore. Coerente con i suoi insegnamenti, ebbe per me sempre il massimo rispetto. Lo ricordo ancora con grande affetto e ne parlo con commozione.
Prima di fare l’operatore, era un personaggio noto, tanto da spiccare sulle cronache mondane dei periodici scandalistici. Aveva sposato la moglie di Mike Bongiorno in bigamia a Las Vegas e anche l’album “Bollicine” di Vasco Rossi è dedicato a lui.
Un grande personaggio che è diventato uno straordinario operatore.
Cominciai in accoglienza, quindi passai in Comunità, la prevenzione, i gruppi… Ho fatto tutta la trafila all’interno delle realtà che si occupavano di dipendenze.
Dimenticai in fretta l’ambizione giovanile di avere uno studio da psicologo tutto mio. Mai, negli anni, ho pensato di fare qualcosa di diverso fuori dal CEIS. Qui sono cresciuto, ho contribuito come operatore quindi come direttore ad aprire diversi servizi, che si sono poi ampliati.
Fino a diventare, nel 2012, coordinatore dell’Area dipendenze di Modena e Bologna.
Il fenomeno della dipendenza non è mai “fermo”. Cambia in continuazione. La realtà che ci trovammo ad affrontare a fine anni ’90 era del tutto diversa da quella del 2012, e anche oggi la situazione è completamente mutata.
È cambiato l’approccio culturale nei confronti di chi consuma, come il motivo per cui una persona arriva a una sostanza.
Si sono modificate le sostanze e la tipologia di chi vi si avvicina per esaltare la propria emotività, le attività, le prestazioni.
La nostra è una società che legittima l’uso di sostanze. Nel momento in cui tu non raggiungi un risultato, puoi avvalertene per centrare l’obiettivo. Donne e uomini, in maniera eguale, per rispondere a modelli estetici o prestazioni, cercano scorciatoie.
Spesso anche i genitori, per sedare l’ansia dei figli, convinti di aiutarli a superare insicurezze e fragilità, non pongono sufficienti argini, anzi spesso favoriscono l’assunzione di sostanze, non conoscendo le conseguenze.
È maturata l’idea collettiva che “si può”.
La repressione ha fallito nella sua finalità di vietare che determinate sostanze possano essere comperate.
Oggi sono fruibili da tutti, anche dai minorenni e dalle fasce più fragili e vulnerabili della popolazione.
La sostanza è accessibile in qualunque luogo, a scuola, nei parchi, in oratorio. Una volta si ammonivano i ragazzi a non frequentare determinate zone perché lì era lo spaccio, oggi questo discorso non ha più senso.
La droga arriva persino via internet, perché certe sostanze non vengono considerate stupefacenti. In certi ambienti sportivi, come abbiamo visto nel ciclismo, i laboratori “inventano” sostanze non ancora classificate e dunque non presenti tra quelle vietate ai controlli antidoping.
Nel contempo, abbiamo una popolazione con problemi di dipendenza che, grazie alla riduzione del danno, per educazione, grazie ai progressi di cure e medicine, ha visto aumentare le probabilità di sopravvivere a un determinato e pericoloso stile di vita.
Abbiamo fasce di consumatori che vanno dai 14 ai 60 anni. Che usano di tutto.
Dall’adolescente che assume sostanze per affrontare la vita scolastica, all’alcolista cinquantenne che si ritrova a fare i conti con la propria precaria salute e chiede una mano.
Negli anni ’90 i consumatori erano quasi tutti eroinomani e avevano dai 25 ai 35 anni. Intervenire su una popolazione omogenea era più facile.
Oggi le sostanze sono molteplici e non ci resta che diversificare i servizi, perché il “contenitore Comunità” non sarebbe più appropriato, non può dare risposte a tutti.
Mentalità diversa, nuove tecniche e metodologie: l’operatore sa che ciò che ha imparato oggi, domani non è più valido. Siamo in una dinamica di formazione continua.
Per il CEIS sono importanti i collegamenti con il Centro Studi, con l’Istituto Toniolo, che ci danno sempre la possibilità di avere un “pensiero”, una lente di ingrandimento su quella che è la fascia dei consumatori, su tecniche e teorie moderne nell’ambito delle dipendenze.
Dall’altra parte ci sono il dialogo, la pratica, i rapporti con i servizi e i territori, che ci mostrano il fabbisogno rispetto a ciò che occorre costruire per dare risposte alla popolazione.
Perché questa è la nostra mission: leggere il fabbisogno e saper individuare le migliori strategie per contrastare il fenomeno e per curare le persone.
Questo è successo in tutte le province dove ci siamo sviluppati.
A Modena siamo partiti con la Comunità e con il percorso classico che interveniva su una fascia di età ben definita e sugli eroinomani.
Oggi abbiamo servizi che vanno a toccare, su differenti fasce d’età, tutte le forme di dipendenza, da sostanze e comportamentali, prima tra tutte il gioco d’azzardo.
Abbiamo un ambulatorio che funge da accoglienza, quando i servizi chiamano e segnalano la necessità di far entrare persone all’interno dei nostri percorsi di cura. Oppure ci sono cittadini che, autonomamente, a fronte di un problema personale o familiare, si recano in via Toniolo 125, dove ricevono aiuto, sostegno terapeutico, consulenza per poter essere poi indirizzati verso i servizi giusti.
Un servizio gratuito che svolgiamo per l’intera città di Modena.
I servizi CEIS partono dal COD, aperto nel 1999.
Il COD è stata la prima struttura, dove, oltre alla residenzialità, sono state inserite anche le terapie farmacologiche e medico, psichiatra, educatore, psicologo…
I percorsi al COD sono brevi, da 1 a 3 mesi, prevedono disintossicazione, stabilizzazione, osservazione diagnostica. Sono quindi fruibili a una fascia di popolazione che non è disposta a investire più tempo per curarsi.
Poi c’è la valutazione insieme ai servizi, perché c’è una fortissima integrazione con il territorio, con il SERDP (Servizio Dipendenze Patologiche), con i centri di Salute mentale e con l’ente locale.
Dà lì, successivamente si diramano i vari percorsi: presso altri enti accreditati, realtà differenti dalla nostra, indirizzi ambulatoriali, etc.
E, ovviamente, si può accedere alle specifiche Comunità CEIS. A Casa Mimosa, per mamme e donne in gravidanza. In comunità a La Torre con i suoi tre moduli: minori tossicodipendenti, il percorso tradizionale, quello “doppia diagnosi” se esiste anche un problema psichiatrico.
Abbiamo anche un percorso per quarantenni, la Comunità Giro di Boa, che magari hanno già alle spalle esperienze terapeutiche e che necessitano di un lavoro pedagogico, di accompagnamento all’inserimento sociale e lavorativo, al recupero delle proprie funzionalità. Le richieste, in questo senso, sono in continuo aumento.
Abbiamo quindi l’intervento di “bassa soglia”, di prossimità, svolto in strada. “Sulla Frontiera” si chiama il progetto, e prevede che siamo noi operatori ad avvicinarci, a recarci là dove c’è il problema e magari accompagnarli nel nostro drop-in per farsi una doccia e mettersi dei vestiti puliti.
È un servizio itinerante, che si sposta nelle diverse zone di Modena a seconda dei bisogni, d’intesa con il SERDP, le forze dell’ordine e la polizia municipale.
Infermieri ed educatori offrono beni di prima necessità e la possibilità di essere medicati, perché chi vive in strada neppure ha la possibilità di avvinarsi ai servizi.
L’obiettivo degli interventi a “bassa soglia” è quella di entrare in relazione con persone che non ti hanno chiesto nulla ma che pian piano cominciano a fidarsi.Nel tempo, è possibile farli prendere in carico dai servizi e che cambino stile di vita.
Agli interventi di prossimità si accompagnano dunque quelli ambulatoriali, di media soglia, fino alla Comunità terapeutica, alla “doppia diagnosi” e alla Comunità mamma-bambino, che sono gli interventi a più “alta soglia” che abbiamo.
Tutto questo è nato attraverso un dialogo costante con le istituzioni, i servizi, le autorità sanitarie e di sicurezza. I nostri sono servizi, centrati sull’ascolto e sul dialogo, fortemente integrati sul territorio. E funzionano grazie anche al contributo di tanti volontari.
Bologna, dal canto suo, ha il servizio di pronto soccorso sociale, a Casa San Martino: accoglie tutte le persone che hanno bisogno di contenimento e protezione, come evidenziato dall’unità mobile il camper del SERT che interviene sui casi di maggiore marginalità di chi vive per strada.
Sono tante le persone che si fanno poi coinvolgere nel percorso di riabilitazione proposta dalla Comunità, che si trova nella stessa struttura.
Abbiamo poi Casa San Matteo, la Comunità più grande del Gruppo con 45 posti accreditati. Diversi i moduli di intervento, a partire dal COD e da una forte équipe multidisciplinare. Per chi prosegue il proprio cammino all’interno della Comunità ci sono tre possibilità: il percorso “doppia diagnosi” con il supporto di psicologi e psichiatri; il percorso tradizionale e quello dedicato alla cocaina, uno dei primi in Italia. Parliamo, in quest’ultimo caso, di moduli di tre mesi.
Sempre relativamente alla cocaina, a Bologna abbiamo un percorso ambulatoriale, nato quindici anni fa, grazie all’attività e allo studio di Alessandro Dionigi, referente nazionale anche della FICT. Bologna è stata “pioniere” non solo per la cura, ma per lo studio e il pensiero.
L’ambulatorio si trova al Villaggio del Fanciullo, convenzionato con l’AUSL: prevede colloqui, supporto psicologico e gruppo di auto aiuto.
Importante è ricordare che sia a Modena che a Bologna abbiamo gruppi per i genitori e per le famiglie. Non sono di chi partecipa al programma, ma per tutti coloro – mogli, mariti, fratelli… – che sentono la necessità di avere un sostegno per poter affrontare una dipendenza familiare.
È un intervento che caratterizza il nostro servizio, come CEIS abbiamo sempre affrontato il problema della dipendenza non come una malattia del corpo ma come un problema relazionale, che coinvolge la persona a 360 gradi e il contesto familiare.
*Coordinatore Area Dipendenze Patologiche Modena e Bologna