di Rosa Bolzon*
Il CEIS nasce il 13 dicembre 1982, sotto la “spinta” di alcuni genitori che avevano portato i loro figli, tossicodipendenti, a Roma, per conoscere don Mario Picchi e il suo “Progetto Uomo”. “Fondate un Centro a Modena”, fu il suggerimento.Gli stessi genitori si recarono così da Monsignor Bruno Foresti, allora vescovo di Modena, che si rivolse ai Padri Dehoniani. Venne incaricato padre Giuliano Stenico.
Negli anni ’80 la droga era un’emergenza assoluta, non si sapeva dove sbattere la testa. Assieme ad altri operatori, e a padre Giuliano, siamo andati a Roma per fare un corso di formazione, durato diversi mesi.
A Modena abbiamo cominciato con una Comunità tradizionale, sul modello di quella di don Picchi: accoglienza, Comunità, reinserimento erano le tappe del percorso. Il programma durava poco meno di due anni.
La situazione si è poi evoluta rapidamente. “Cambiamento” era la parola che più ricorreva ai nostri incontri. Per modificare, adeguare, rendere più efficaci gli interventi.
La storia della tossicodipendenza in Italia comincia nel 1972, quando si inizia a parlare diffusamente di droghe. Sono gli anni del post ’68, delle ribellioni giovanili, delle sempre più forti richieste di cambiamento della società.
L’ho vissuto pienamente quel periodo, in quanto nel ’72 frequentavo le scuole superiori: scioperavo con i compagni, vivevo con emozione le agitazioni, si creava una sorta di clima quasi “rivoluzionario”; nacquero i primi gruppi anarchici e i collettivi delle donne.
Alcuni amici e compagni di scuola cominciarono a usare sostanze. Anche nella mia famiglia abbiamo vissuto un’esperienza molto dolorosa.
Decisi di frequentare un gruppo, fondato da don Ugo dei Salesiani, che studiava il Terzo Mondo. Si chiamava “Operazione Mato Grosso” e si parlava dei più poveri. Da qui nacque il mio desiderio di andare in America Latina, in missione.
Tornata in Italia, lavoravo a Carpi. Un giorno, una suora dell’ospedale mi disse: “Vuoi andare a Roma, con quelli del CEIS, a fare un corso per operatrice specializzata nella tossicodipendenza?”.
Piena di entusiasmo, accettai. “Nessuno è più povero e emarginato dei tossicodipendenti oggi”, pensavo.
La mia visione romantica ben presto si scontrò con la realtà. I tossicodipendenti tendevano a fregarti, raccontavano “balle”. E nella Comunità San Carlo di Roma dove facevo tirocinio gli operatori, quasi tutti ex tossicodipendenti, ci trattavano quasi con supponenza: “Non siete toste abbastanza”, “Non capite nulla di droga”.
Ma non era vero. Abbiamo capito subito che non erano la tossicodipendenza né la droga l’essenza del problema, ma la persona. È la persona che va presa per mano, guardata negli occhi e nel cuore, costringendola a non scappare più dalla realtà.
Era comunque dura. “Resisti, a Modena sarà diverso”, mi rincuorava un carissimo amico, prete ad Arezzo. È andata così. A Modena, assieme a padre Giuliano e ad altri operatori, è stato diverso. Abbiamo costruito il nostro Centro grazie ad un gruppo eterogeneo di operatori di Modena, Reggio Emilia e Piacenza. I primi colloqui con genitori e ragazzi avvenivano in un sotterraneo delle suore, in Viale Storchi.
Erano in maggioranza giovani, con storie di tossicodipendenza brevi e non troppe barriere. Approcciarsi a loro è stato relativamente semplice, anche se molti avevano la mia età ed essere autorevoli richiedeva impegno.
La svolta è stato l’incontro con Donald Ottenburg, uno dei pionieri delle Comunità terapeutiche, supervisore di diverse strutture in Europa.
Al CEIS di Modena ha seguito e supportato tutto il processo di cambiamento e l’evoluzione dei servizi. Insieme alla moglie Martha ha contribuito con originalità e passione al progresso dei sistemi di trattamento delle dipendenze. Donald è stato per molti di noi soprattutto un amico e un maestro.
Nei primi anni i ragazzi, durante il loro percorso, erano accompagnati dai genitori che si mettevano in aspettativa, alcuni addirittura si licenziavano, per seguire i figli. Venivano da Padova, Treviso, Ravenna.
Le regole nel Centro erano quelle standard: una vita regolare, occuparsi in impegni quotidiani, rispettare le regole. Andavamo tutti assieme a lavorare alla Comunità La Torre, per aiutare nella costruzione.
Quando fu chiaro che non tutte le famiglie potevano prendersi direttamente cura dei ragazzi, fu allora che nacquero le prima Case di accoglienza, gestite da volontari, a Modena, Vignola, Bazzano, Concordia.
Abbiamo avuto una risposta molto forte, grande disponibilità da parte della cittadinanza. Il problema della tossicodipendenza era sentito e più diffuso di quello che si potesse immaginare.
Eravamo tutti convinti che la droga fosse un tunnel da cui comunque si poteva uscire. Ma non era così semplice. Dire al ragazzo: “Basta, da domani tu non usi più droga”, non funzionava.
Dall’eroina, dal buco, ci si liberava solo dopo un percorso lungo e servivano molte motivazioni. Non tutti ce la facevano. Non era solo un atto di volontà uscirne, ma qualcosa di molto più complesso.
“Change”, cambiamento, è sempre stato il nostro slogan: così si spiegano l’accoglienza, la Comunità, i reinserimenti, e poi i centri diurni, il COD, la “doppia diagnosi”… Abbiamo quindi affrontato il problema dei tossicodipendenti alcolisti e delle madri tossicodipendenti con bambini. E altri casi ancora, che necessitavano di risposte sempre più avanzate e all’avanguardia.
E ancora oggi il CEIS è in cammino…
*Presidente CEIS A.R.T.E.