5 Dicembre 2024
Home > Presente e futuro > Tra valori e organizzazione, così funziona la complessa “macchina” del CEIS
Luca Cavalieri

di Luca Cavalieri*

Quasi la metà della mia vita l’ho passata al CEIS. Tutte le persone, in un arco temporale così ampio, cambiano. Indipendentemente dal contesto lavorativo e dagli incontri che fanno.
Sono convinto, però, che un “pezzettino” del mio modo di vedere le cose sia cambiato grazie al CEIS.

Ovvero, la capacità di riconoscere che per tutti deve esserci una seconda opportunità.

A 28 anni, quando arrivai, pensavo fosse giusto avere giudizi definitivi: “chi sbaglia, non ha diritto ad un appello”. Ma quando ti trovi a conoscere situazioni così complesse come quelle che affrontano famiglie e persone, adulti e giovani che frequentano il CEIS; molteplici fragilità, cadute, errori gravi che determinano dolore e sofferenze su sé stessi e i propri cari, allora la prospettiva cambia.

Non sono qui a dire, ora, che in nome del buonismo vada bene tutto… Il giudizio sui comportamenti resta, ma un’evoluzione del mio modo di sentire e comportarmi è quella di riconoscere a tutti un’altra opportunità.

Ciascuno di noi ha delle risorse, magari inespresse, magari nascoste, e su quelle si può fare leva per una ripartenza.

Mi rendo conto di essere più tollerante e disponibile ad accettare gli errori altrui, perché spesso non sono frutto di scelte libere, ma condizionate da situazioni che non volute. Ma quand’anche fossero scelte libere, credo che comunque l’inappellabilità non vada mai data.

2 gennaio 1997: laureato da poco in Giurisprudenza, non avevo neppure trent’anni quando varcai la porta del CEIS. Ero reduce da una esperienza educativa con ragazzini delle scuole medie, prima come obiettore e poi grazie ad una collaborazione con un Comune della provincia di Modena. Facevo l’educatore, nonostante la natura totalmente differente del mio corso di studi.

Il mio primo impiego al CEIS fu in amministrazione, seguivo i contratti. Crescendo all’interno dell’organizzazione, sono stato affiancato al Direttore Generale, fino a diventarne assistente.

Nel 2008, quando è stato costituito il Consorzio Gruppo CEIS, la realtà che unisce i vari enti che fanno parte del nostro Centro, fui incaricato della Direzione di questo nuovo organismo.

Fino al 2012, anno in cui sono stato incaricato come Direttore Generale. Ruolo che ricopro tuttora.

Nel 1997 i servizi esistenti erano sostanzialmente incentrati sulle dipendenze: l’accoglienza, il Centro diurno, la Comunità terapeutica e la Comunità Mimosa per donne tossicodipendenti con figli, più le Case d’Accoglienza sparse sul territorio. C’erano, inoltre, Casa San Lazzaro per malati di Aids, il Centro Studi e Le Faretre.

Qualche mese dopo fu aperta La Barca. Del 1999 è la prima Comunità per minori alternativa al carcere. Poi sono cominciate le collaborazioni con i CEIS di Bologna e Parma e da lì l’allargamento fino ad arrivare alle realtà di oggi.

Circa 500 sono i colleghi dipendenti, più di 50 i consulenti tra clinici, tecnici, docenti del corso universitario.

Cinque le Aree di intervento, che sviluppano un fatturato (2021) di poco inferiore ai venti milioni di euro.  Dipendenze patologiche copre il 27% delle nostre attività. L’area Minori il 46%: quasi la metà di quello che facciamo deriva da quell’ambito. L’area Socio-Assistenziale riguarda circa il 20%, quindi Il Centro Studi (4%) e l’area Migranti (3%).

La realtà del Gruppo CEIS si può definire semplice, ma al tempo stesso complessa.

Semplice perché l’idea portante è accompagnare le persone che hanno fragilità e sofferenze cercando di fare leva sulle capacità che comunque hanno, sulle risorse che ciascuno di noi possiede, anche in condizioni difficili. Stiamo al loro fianco per un tratto di strada e l’obiettivo è rimetterli in condizione di camminare da soli terminato il percorso. Un’idea semplice, ma per realizzarla si è reso necessario un livello organizzativo assai complicato.

Abbiamo quattro livelli decisionali.

Il Tavolo della Presidenza, che assume le decisioni di carattere strategico, politico, di ordine generale e decide gli investimenti immobiliari. È composto dalla Presidenza – padre Giuliano Stenico e padre Giovanni Mengoli – dai legali rappresentanti delle realtà consorziate, dalla Direzione Generale – il sottoscritto, la direttrice amministrativa e il responsabile del personale – e da manager e professionisti affermati e di fiducia. Questi ultimi collaborano a titolo gratuito. Volontari a tutti gli effetti. Ci si incontra di frequente, in media ogni tre settimane.

Il secondo livello decisionale è il Tavolo di Coordinamento. Sono due in realtà. Uno per i servizi e le Comunità, l’altro per le attività svolte dal Centro Studi. Si riuniscono separatamente una volta al mese. Sono presenti la Direzione Generale con lo staff e i rispettivi Coordinatori delle due aree. Qui vengono coordinate le attività sulle quattro province di Modena, Parma, Bologna e Ravenna. Dà attuazione e realizza le decisioni assunte dal Tavolo della Presidenza, modifica, riprogetta e innova i servizi grazie alle competenze del personale di lungo corso.

Il terzo livello decisionale è l’Incontro di Area, che si tiene una volta ogni tre mesi. La Direzione Generale e lo staff incontrano i responsabili di struttura, con i rispettivi coordinatori: la Direzione trasferisce ai responsabili l’andamento economico, gli obiettivi di risultato, economici e non, perché abbiamo scelto di coinvolgere anche i responsabili di struttura nella gestione amministrativa ed economica. Un tempo non era così.

I responsabili di struttura, a loro volta, trasferiscono alla Direzione Generale l’andamento delle Comunità. In relazione ai servizi, alle difficoltà con il personale, alle problematiche con i servizi territoriali, etc. La Direzione Generale con lo staff e i responsabili di struttura in questo modo, dialogano per aree omogenee.

Il quarto livello decisionale è quello delle singole équipe di lavoro. Che sono poi il cuore pulsante di ciò che facciamo. Gli snodi fondamentali che danno vita alle Comunità e ai servizi. Composti dai responsabili di ciascuna struttura e dai membri di quelle équipe. Si riuniscono una volta alla settimana e trattano di tutti gli argomenti necessari per il funzionamento della singola struttura. Sia di ordine pratico – dagli approvvigionamenti alimentari alla manutenzione, al funzionamento – sia riguardo ai percorsi evolutivi, educativi, clinici, terapeutici delle persone accolte. È in questa sede che vengono discussi i progetti e vengono prese le decisioni sugli atteggiamenti da tenere in un particolare servizio rispetto ai singoli utenti.

Le équipe sono il nucleo fondamentale attorno al quale si sviluppa il lavoro delle nostre Comunità. Poiché riteniamo che il personale sia il nostro biglietto da visita nei confronti dei servizi esterni.

Il lavoro del personale rappresenta, anche in termini di costo, oltre il 65% delle nostre risorse.

Riteniamo importante professionalizzare le persone che lavorano con noi; per questo ci siamo dotati di una serie di strumenti affinché questo obiettivo venga raggiunto.

Abbiamo il cosiddetto “Piano biennale della formazione”: stiliamo un documento che prevede l’attività formativa dei due anni successivi. Redatto in base all’indicazione dei singoli colleghi attraverso una sorta di questionario in cui chiediamo di evidenziare i fabbisogni formativi e i “desiderata”.

Altra componente attraverso la quale si arriva a redigere il Piano è l’analisi del clima organizzativo. Tutti gli anni sottoponiamo un questionario a tutti i colleghi che va ad evidenziare la stanchezza psico-fisica, la leadership, il dinamismo, la capacità di lavorare in team, e tutti gli aspetti legati alla sfera lavorativa e ai rapporti tra le persone (colleghi e utenti). Viene quindi elaborato e sulla base delle evidenze che emergono da questo report andiamo a definire le necessità formative.

A supporto dell’équipe abbiamo la supervisione relazionale, una volta al mese, con un professionista esterno. Lavorare con persone fragili che hanno bisogno di relazioni significative mette alla prova il nostro personale. A volte nascono dinamiche non sempre ordinate e gestibili all’interno dell’équipe e per affrontarle e superarle ci siamo quindi dotati dello strumento del supervisore esterno, esperto nel lavoro di Comunità.

Sempre nell’ottica della professionalizzazione esiste un ulteriore passaggio, la supervisione clinica. Riteniamo importante che periodicamente il lavoro che noi svolgiamo nei confronti delle persone a noi affidate, venga verificato da un valutatore esterno. Al quale vengono sottoposti alcuni casi, ogni due-tre mesi, per ottenere una restituzione e un giudizio del lavoro svolto dall’équipe. Un modo ulteriore per far crescere in professionalità e competenza il nostro personale.

Acquisire una competenza, consolidarla e provare ad applicarla ad un ambito diverso delle fragilità umane è sempre stato il nostro stile di lavoro. Abbiamo iniziato nel 1982 con il recupero dalle tossicodipendenze applicando il modello di lavoro di Comunità e cercando di aiutare le persone affette da questo problema ripristinando e creando relazioni positive.

Questo modello di intervento è stato poi applicato alle Case Alloggio per malati di Aids, dove oltre alla tossicodipendenza c’era il problema della malattia e della morte. Alla fine degli anni ’80, primi anni ’90, davvero quella malattia incideva drammaticamente in chi contraeva l’HIV.

Quindi abbiamo allargato questo modello alle Comunità per le mamme tossicodipendenti, a quelle per i malati psichiatrici, alle Comunità educative per minori.

Abbiamo sempre cercato di specializzarci. Cercando di andare ad intercettare quelle necessità un po’ più complicate che potevano essere affrontate con i nostri strumenti. In linea con la nostra storia.

Superata (speriamo) la pandemia, ma su questo ritornerò, oggi, a fine 2022, con i servizi completamente funzionanti e le attività del nostro Centro tutte riprese, siamo impegnati in nuovi ambiti di intervento.

Gli ultimi servizi su cui ci siamo concentrati sono la Comunità semiresidenziale per minori con fragilità psichiatriche, aperta in collaborazione con l’AUSL di Modena, la Comunità terapeutica per donne in corso di attivazione e la Comunità educativa integrata femminile.

Come tutti, abbiamo impattato in maniera importante con la pandemia da Covid-19. Ha rappresentato per noi un momento particolarmente impegnativo perché non potevamo fare smart working con il tipo di attività che svolgiamo.

Certo, qualcosa abbiamo riorganizzato: penso al Centro Studi, agli Sportelli scolastici, al lavoro in amministrazione. Ma la pandemia ha soprattutto comportato una riorganizzazione profonda del modo di lavorare in Comunità e nei servizi residenziali.

Un passaggio che è risultato molto stretto. Anche dal punto di vista economico: il lockdown ha bloccato una serie di passaggi di utenti, di ricoveri e inserimenti. Non è stato semplice.

I servizi diurni sono stati chiusi, riattivati in seguito con modalità differenti ma con funzionamento a regime ridotto. Ci siamo naturalmente adeguati alle normative nazionali e regionali e abbiamo registrato una disponibilità davvero encomiabile del nostro personale.

Alcune realtà hanno lavorato in situazioni di forte disagio. Una su tutti: il servizio diurno per utenti tossicodipendenti senza fissa dimora, dove le misure di distanziamento erano del tutto inesistenti.

Questi colleghi hanno rischiato. Molti di loro si sono organizzati evitando di vedere i parenti stretti e la propria famiglia per diverse settimane, per evitare contagi. Altri si erano resi disponibili, in caso di focolaio all’interno del servizio, di fare l’isolamento in struttura assieme agli utenti.

Testimonianze di dedizione al lavoro importanti. Abbiamo attivato in tutte le strutture una camera per l’isolamento ancora prima che ci venisse richiesto. Ci siamo quindi attrezzati con i dispositivi di protezione appena sono stati disponibili e abbiamo incentivato il più possibile la vaccinazione, obiettivo che è stato prioritario per tutto il 2021.

Non abbiamo dovuto fare particolari sforzi, la stragrande maggioranza del nostro personale ha deciso volontariamente di aderire alla campagna vaccinale. Quali la totalità dei colleghi l’ha completata.

Nel secondo anno di pandemia abbiamo avuto diversi focolai, ma anche grazie alle vaccinazioni degli utenti e degli operatori, siamo riusciti a contenerne la diffusione.

Arriviamo a celebrare i nostri 40 anni di attività ed è un traguardo significativo e importante per il nostro Ente. Il primo momento celebrativo è dato appunto da questo sito, poi gli eventi continueranno nell’arco del 2023 con un grande incontro cittadino e altre iniziative legate a questa ricorrenza.

Celebrare i 40 anni va fatto, perché è cifra tonda, ma si va oltre questo significato. Ovvero il poter evidenziare ed esprimere il lavoro svolto, l’evoluzione che il nostro Gruppo ha fatto in termini anche di pensiero e di collaborazione con il servizio pubblico.

È importante presentare e promuovere i nostri servizi e le diverse attività; credo però sia ancora più rilevante dimostrare ed esprimere la nostra capacità di pensiero e il fatto di poter interloquire con i servizi pubblici sulla base del livello di competenza raggiunto.

Volendo dialogare in maniera paritaria. Non è presunzione, riteniamo che in questi 40 anni, col nostro percorso, abbiamo potuto dimostrare di essere non semplicemente un Centro che eroga servizi, ma una realtà pensante che è riuscita a incidere sulla società modenese e delle altre città in cui operiamo.

*Direttore Generale Consorzio Gruppo CEIS