di Waider Volta*
Ho fatto parte della Cooperativa Sociale Il Pettirosso sin quasi dalla sua nascita. Avevo conosciuto don Mario Picchi a Bologna, ai “Martedì di San Domenico”, nel 1982, allorché venne a presentare il suo “Progetto sul recupero dei giovani caduti nella tossicodipendenza”.Mi occupavo già di tossicodipendenze a livello di volontariato con altre strutture di Bologna (lavorativamente ero impegnato nel settore bancario).
Il “Progetto Uomo” di don Mario Picchi mi colpì subito, lo trovai veramente interessante ed efficace per dare un supporto ai ragazzi ad uscire dalla droga.
Dopo un paio d’anni sono divenuto Consigliere poi Vice Presidente de Il Pettirosso e lo sono rimasto per oltre un ventennio, fino alla confluenza nel CEIS Modena. Presidente, per un brevissimo tempo iniziale, fu don Giovanni Nicolini, poi Claudio Miselli ed infine padre Giuliano Stenico.
Oggi ricopro la carica di Consigliere di CEIS A.R.T.E.
Il Pettirosso nasce ufficialmente il 4 novembre 1985. Ne facevano parte come soci alcuni giovani della Comunità di Sammartini di Crevalcore (responsabile era don Giovanni Nicolini).
Tra i supporter esterni di allora c’erano il Cardinale Giacomo Biffi e il presidente della Provincia, Giuseppe Petruzzelli, che avevano promosso un Comitato anti-droga e che chiesero alla Comunità di Crevalcore la disponibilità ad avviare l’esperienza di “Progetto Uomo” a Bologna.
Fu così che si cominciò. I primi operatori frequentarono un corso teorico di qualche mese a Roma, presso la Comunità di don Mario Picchi, cui seguì un’esperienza pratica nelle strutture già esistenti di Piacenza e Ravenna.
Furono loro ad inaugurare la prima sede de Il Pettirosso, in via de’ Mattuiani 1, vicino al Tribunale, messa a disposizione dalla Provincia di Bologna. Lì c’era la prima accoglienza dei ragazzi e delle famiglie.
Era una caratteristica unica per quel tempo, l’accoglienza delle famiglie e la partecipazione condivisa del programma non era praticata dalle altre Comunità.
Nel 1985 attorno a Il Pettirosso gravitavano una dozzina di persone; gli operatori di Sammartini di Crevalcore e alcuni volontari, come me, già formati su temi psico-sociali (seguivo inoltre un “gruppo genitori”).
“Progetto Uomo” coinvolgeva le famiglie e questo era l’aspetto che maggiormente mi convinceva, famiglie il cui ambito relazionale la droga aveva inquinato e che andava quindi recuperato senza sradicare dal proprio contesto il giovane tossicodipendente.
Sin dall’inizio, infatti, da noi vigeva l’obbligo di coinvolgere almeno un genitore, un parente, un fratello per accompagnare il ragazzo nel suo percorso. Così che, al rientro dal processo di crescita ne Il Pettirosso, trovasse una comunità preparata ad accoglierlo e a rapportarsi con lui in modo adeguato.
Ragazzi e familiari che si rivolgevano a noi, agli inizi, erano perlopiù persone abbienti.
Sembra un paradosso, ma non lo era: in quegli anni i tossicodipendenti meno abbienti venivano emarginati e solo con grandi difficoltà riuscivano a chiedere aiuto. I maggiormente bisognosi, che più di altri faticavano a mettersi in discussione, difficilmente accettavano un dialogo e il confronto. Solo col tempo siamo riusciti ad avvicinarli.
La costante che ha caratterizzato tutta l’esperienza de Il Pettirosso, e che sempre più si è sviluppata nel tempo, è il rapporto con i genitori, che hanno ripreso fiducia, superando la vergogna e il timore di essere emarginati da parenti, amici e vicini.
Sembrava che la droga ti contagiasse anche da un punto di vista etico, nessuno ne parlava e di fatto si andava ad una ghettizzazione delle famiglie che vivevano questo problema.
I genitori si costituivano in gruppi di auto aiuto e questo ha consentito, trovandosi assieme anche due sere la settimana, di prendere coscienza del problema e a rendersi visibili.
Aiutavamo i genitori a non colpevolizzarsi.
All’inizio il rapporto tra la nostra Comunità e le istituzioni bolognesi, ad eccezione dell’Ente Provincia e della Chiesta bolognese che ci sostenevano, fu quasi di diffidenza, ma ben presto divenne di attenzione, quindi seguì una “apertura delle porte” pubbliche e private.
I politici, di ogni orientamento, erano interessati al “problema droga”, che peraltro coinvolgeva anche amici e ragazzi di loro conoscenza.
Nello stesso tempo crebbe altresì l’attenzione dei media. Spesso ci invitavano in TV, radio e nelle scuole di ogni ordine e grado.
Si diffondevano interesse ed attenzione, seppur con prudenza, perché c’era la sensazione di trovarsi come di fronte a un contagio, che anche solo a parlare di droga si potesse in qualche modo venire coinvolti.
Poi ci sentimmo pienamente accolti e “partecipati” dalla gente, dalla città e provincia di Bologna.
*Vicepresidente Cooperativa Sociale Il Pettirosso (1990-2015) – Consigliere CEIS A.R.T.E.