25 Aprile 2024
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Alessio Costetti

di Alessio Costetti*

La mia storia con il CEIS comincia nel marzo del 1995. Avevo deciso di fare l’obiettore di coscienza presso Casa San Lazzaro e, per fare esperienza, mi presentai come volontario qualche mese prima. Erano anni in cui nelle strutture per malati di Aids il dolore e la morte erano quotidianità.

Avevo 22 anni ed era la mia prima volta a stretto contatto con tanta sofferenza. Ho reagito creando una grande sintonia con il gruppo, sono nati bellissimi rapporti con i colleghi e con la responsabile di allora, Rosa Bolzon.

Maturò in me, di conseguenza, la convinzione di cambiare indirizzo universitario. Mi iscrissi a Scienze della Formazione, per far diventare quell’esperienza di servizio civile un futuro lavoro.

In maniera inaspettata, Casa San Lazzaro mi propose l’assunzione dopo l’anno di servizio civile e lì rimasi quattro anni. Nel tempo, fortunatamente, le cose sono cambiate, le terapie si sono evolute e la malattia stabilizzata. Abbiamo vissuto anche momenti di gioia intensi, con molti ragazzi che nonostante tutto riuscivano a condurre una vita quasi “normale”.

Quando lasciai Casa San Lazzaro ero molto stanco, ma altrettanto orgoglioso e soddisfatto di ciò che eravamo riusciti a fare.

Con la consapevolezza, soprattutto, che questo sarebbe stato davvero il mio lavoro.

Negli anni successivi ho fatto il “pellegrino” in diverse strutture CEIS, convinto che l’educatore dovesse anzitutto vivere molte esperienze. Ho scelto il CEIS proprio perché forniva numerose opportunità.

Ho trascorso altri quattro anni in una struttura per tossicodipendenti. Ho sempre espresso la mia volontà di lavorare con gli adolescenti e dopo un’esperienza a Casa Mimosa e con le scuole, mi fu proposto di diventare vice-direttore presso la Comunità La Corte, la prima socio-educativa interamente CEIS sul territorio.

Lì sono rimasto più di 10 anni come responsabile. Ho avuto anche una breve parentesi come referente di una Comunità femminile in attesa del rientro di una collega dalla maternità.

Oggi sono coordinatore dell’insieme delle strutture per minori di Modena e Parma e a breve anche di Bologna.

A Modena abbiamo una Comunità socio educativa maschile, La Corte, che può ospitare ragazzi dai 14 ai 18 anni, e una Comunità femminile, La Coccinella, per lo stesso target di età.

Coordino anche una Comunità socio educativa maschile a Parma, Casa sull’Albero, che nell’ultimo anno ha ospitato, in accordo con il Comune, un numero importante di minori stranieri non accompagnati. Così come ho la responsabilità di una comunità multi-utenza a Selva del Bocchetto.

Ragazze e ragazzi sono ovviamente al centro del nostro percorso, dell’attenzione e della cura degli operatori. Cerchiamo di assicurare loro una vita il più simile possibile, nonostante siano in Comunità, alla normale quotidianità di un’adolescente: scuola, amicizie, interessi e tutto il resto.

Sono passati tanti anni e ne sono successe di tutti i colori. Abbiamo ottenuto grandi risultati con ragazzi che sembravano irrimediabilmente “persi”. Ma di irrecuperabile, quando si parla di adolescenti, non c’è niente. Tanto di complicato, ma nulla di irrimediabile.

Assieme a validissimi operatori, tanti dei quali sono ancora miei stretti collaboratori, si sono riscontrati soddisfazioni e successi.

Le ferite pure ci sono state, il cui ricordo ci fa da stimolo ed esperienza per il futuro. Si imparano tante cose anche dai fallimenti.

Siamo cresciuti tanto, umanamente e professionalmente, c’è confidenza e stima tra le persone, fattori fondamentali per creare sintonia e solidarietà nell’équipe e tra gli operatori.

Abbiamo fatto progetti innovativi, sono cresciuti i rapporti e le collaborazioni con i servizi del territorio.

Ci sono stati ragazzi che non abbiamo mai più visto, altri che ci invitano a matrimoni, battesimi, che manifestano riconoscenza e affetto in mille maniere. Sono soddisfazioni ed emozioni grandi.

Spesso ci siamo scontrati con la burocrazia o altri ostacoli, sempre però cercando il meglio per tutti gli ospiti, fossero essi stranieri o italiani del territorio.

Ci siamo trovati di fronte a situazioni molto delicate: ragazze e ragazzi vittime di violenza, alcuni che avevano commesso reati importanti e duri. Creare dei “percorsi” per loro non è stato semplice. Sempre ci siamo adoperati come équipe, mettendo al centro la persona, senza entrare nel “giudizio”.

Le Comunità hanno anche subito la conseguenza di eventi successi al di fuori delle nostre strutture, in luoghi vicini, che hanno condizionato il lavoro e il rapporto con i servizi. Hanno creato diffidenza e talvolta distanza, ma grazie alla nostra storia, alla credibilità e al lavoro quotidiano abbiamo superato anche queste difficoltà.

È innegabile che gli ultimi due anni siano stati tra i più difficili. La pandemia ha fatto soffrire tanto ragazze e ragazzi perché la vita è cambiata drammaticamente: niente più amicizie, incontri, sport… Improvvisamente il mondo si è chiuso. Essi stessi si sono chiusi nel loro mondo, che è una comunità e non una famiglia. C’era grande preoccupazione.

Oggi posso dire che siamo stati bravi e fortunati a gestire questa situazione e questo periodo. Il gruppo si è mostrato gestibile e non ha creato particolari problemi, né abbiamo avuto problemi rilevanti di salute.

Chiaro che abbiamo dovuto reinventare una “routine” per tanti giovani, che però hanno capito il momento e si sono responsabilizzati, facendo la loro parte.

Per il futuro occorre lavorare e insistere nel creare e potenziare percorsi di autonomia, perché non tutti possono rientrare in famiglia.

Da qui passa lo sviluppo e il valore delle Comunità socio-educative.

*Coordinatore Servizi Educativi Minori Modena, Parma e Bologna