16 Aprile 2024
Home > Adolescenti e minori > Le comunità per minori alternative al carcere, una storia che parte da lontano
Boze Klapez

di Boze Klapez*

Nel 1999 fui incaricato dal CEIS di occuparmi dell’apertura dei servizi per i minori sul territorio di Bologna. Il Ministero di Grazia e Giustizia ci chiese di attivare una Comunità alternativa al carcere e come sede fu individuato il Villaggio del Fanciullo, sede dei Dehoniani di Bologna.

Gli utenti erano 14. Gli operatori CEIS incaricati avevano molta esperienza nelle Comunità per tossicodipendenti, ma all’inizio abbiamo incontrato parecchie difficoltà.

La regola principale della nuova struttura era chiara: “tutti noi ci impegniamo a rispettare noi stessi, gli altri e l’ambiente in cui viviamo”.

Un precetto bellissimo, ma i ragazzi che provenivano dal carcere avevano idee ben differenti, volevano fare quello che pareva loro.

È stato un percorso lungo. Abbiamo cominciato con delle norme per regolamentare la giornata: gli orari, i pranzi, i permessi per le uscite, i rientri nelle camere.

Si trattava di limitare al massimo le possibili trasgressioni e di dare sicurezza agli ospiti e agli operatori, i quali, malgrado la notevole esperienza, si sentivano spesso impreparati nell’affrontare certe situazioni.

Con il tempo le cose sono migliorate. Tanto che la pronta accoglienza per i minori di Bologna l’abbiamo esportata anche a Modena. E, in breve, proprio a Bologna si è creata una “rete” di servizi anche di seconda accoglienza.

All’alba degli anni Duemila le Comunità a Bologna erano diverse e molti sono stati gli episodi che danno il senso del clima e della complessità di allora.

In una Comunità non del CEIS gli ospiti minorenni avevano preso il sopravvento, tanto che gli stessi operatori erano vittime di percosse. Il responsabile di questi gesti violenti fu allontanato, ma non era passata nemmeno un’ora che le forze dell’ordine l’avevano già riportato lì…

Quando questo ragazzo, assieme ad altri, fu trasferito nella nostra Comunità, si creò una situazione quasi insostenibile. C’erano dei leader, dei “capetti negativi” che non si preoccupavano neppure di nascondere lo spaccio di droga.

Dovevamo intervenire. Decisi di separarli, di inviarli in diverse Comunità, (questa era ed è la forza del CEIS poter mettere a disposizione tante strutture così da non interrompere il percorso), senza per questo rimandarli in carcere, perché avrebbero perso forse per sempre la possibilità di ritrovare una loro strada positiva.

Erano sei in tutto. Con la metà di loro siamo riusciti nell’intento, hanno cambiato completamente vita. Uno si è persino dedicato alle attività di volontariato con i malati di Aids.

*Responsabile prima Comunità CEIS per minori alternativa al carcere