26 Aprile 2024
Home > Interventi psico-sanitari minori e adulti > Da In Volo a cuoca con il CEIS:vi racconto la mia storia
Flavia Onofrio

di Flavia Onofrio *

Soffrivo di anoressia nervosa, tra i disturbi del comportamento alimentare uno dei più conosciuti. Oggi ho una vita e un mestiere: cuoca per il CEIS, di recente anche a Casa Padre Marella di Bologna. Entrai a In Volo, la Comunità CEIS per DCA, quando era a Pellegrino Parmense. Fu mia madre a volerlo.

Era convinta, a ragione, che per guarire dalla malattia dovessi stare lontano dagli ospedali e da casa.
“Basta ricoveri”, mi ripeteva. “Devi cominciare da capo, stare assieme a ragazze con i tuoi stessi problemi. Assistita da esperti che siano dediti a quello che sei tu, come persona”. Cercò su internet fino a quando, un giorno, disse a me e a papà: “Si parte”.

Eravamo agli inizi del febbraio 2013, una giornata di pieno inverno. Fu un lungo viaggio in auto, da Roma a Pellegrino Parmense. Eravamo pieni di ansie, timori, preoccupazioni. Ma ci abbracciavamo alla speranza, avevamo fiducia. Consapevoli che poteva essere l’ultima occasione. Che serviva una svolta.

A In Volo ho incontrato tante persone. Ragazze e ragazzi: malati, operatori, amici. Qualcuno più speciale di altri. Con gli altri ospiti gli sguardi erano timidi, spesso scostanti. Tutti con lo stesso problema legato ai DCA, ciascuno con sfaccettature diverse. Soli ma insieme sulla stessa barca, tutti a remare per approdare su un’isola un po’ più felice.

Quante storie ho conosciuto: di ragazze e ragazzi che lottavano e si sostenevano per allontanarsi dal crinale. Di educatrici, coordinatori, OSS. E poi gli incontri con l’équipe, lo psicologo, lo psichiatra, il nutrizionista. Quanti cambiamenti nel tempo. Tutti mi sono serviti perché ogni esperienza, ogni persona ti fa crescere. Ma – e questa è la cosa più importante – non ti fa più sentire solo. Condividi l’angoscia, il dolore interiore, lotti assieme: e la solitudine progressivamente se ne va.

“Solo tu puoi volerlo, ma non da sola…”. “Qui tu hai noi, e noi abbiamo te”. Non fu semplice. La malattia mi portava a resistere, a rifiutare. Le storie che ci segnano, nella loro drammaticità e attraverso il dolore, ci fanno aprire altre porte che sono dentro di noi. Le porte dell’amicizia, dell’ascolto, del cuore. Ti apri al mondo.

Ero diventata fredda, rigida. Anche se dentro di me il seme della vita c’era. Anche se sembrava che volessi lasciarmi andare, mi permeava il desiderio di volercela fare. In qualche modo, in qualsiasi modo possibile.

Per molto tempo ho ostacolato questi mio sentimento e desiderio. Ma il seme è germogliato, lentamente, e sono rinata.

In Volo è stata per me come una gestazione, una maternità. Gli operatori mi hanno accolto, ascoltato, protetto come in un grembo, per poi farmi nascere.

La Comunità ha aiuto il mio protagonismo, la mia volontà di volercela fare.

Sempre ringrazio le operatrici, l’équipe, le altre ospiti. Mi sostenevano quando mi sentivo male. Stavo meglio e mi incitavano, mi invitavano ad andare in cucina a fare piccoli lavoretti.

Ho cominciato a sentirmi utile. Ho ritrovato l’identità, l’autostima, il valore di me stessa. Prima mi sentivo un nulla, volevo scomparire attraverso la malattia. Attraverso l’aiuto degli operatori, che mi vedevano come persona e non solo come malattia, mi sono sentita considerata. Loro sapevano chi era Flavia, io ancora no.

Mi hanno insegnato a scoprire la vera me stessa. Possiamo conoscerci attraverso le nostre esperienze, in solitudine. Ma è soprattutto attraverso gli altri che impariamo davvero a conoscere noi stessi.

Mi davano fastidio, all’inizio, queste loro osservazioni. Il fatto che potessi essere socievole, una bella persona, che potessi far ridere.

Mi rifiutavo di credere di essere così. Mi identificavo con la malattia. Poi, finalmente, mi sono affidata agli operatori, ho sradicato l’anoressia, ho scoperto e costruito la mia identità vera.

Il percorso verso la rinascita è stato graduale. Si rispettavano quelli che erano i miei tempi. Ed è stato molto importante.

I momenti della svolta sono stati più di uno. Il diverso rapporto con il cibo, le prime esperienze da tirocinante all’esterno, il lavoro a Casa Padre Marella.

Cresceva la fiducia in me, e quella di chi mi stava accanto. Mi diedero le chiavi della Comunità, mi sentivo coinvolta e capace di dare sostegno alle nuove ospiti.

Un giorno, entrai in cucina… Ho tutt’oggi un ottimo rapporto con il cuoco di In Volo, che mi prese sotto la sua ala. “Dai, aiutami ad apparecchiare la sala e a lavare i piatti. Tranquilla, resterai lontana dal cibo…”.

Gradualmente è cambiato il mio approccio con il cibo: meno angosciante, più normale, talvolta scherzoso. Ho cominciato a fare l’assaggiatrice. A preparare le prime semplici portate. Il cuoco non mi mollava mai. “Che vuoi oggi per pranzo? Lo prepariamo assieme, sperimentiamo…”.

Fino a quando ho cominciato a cucinare da sola tutti i miei pasti, quindi le colazioni e i pranzi per le altre ragazze.

“Ti andrebbe di seguire un tirocinio formativo qui a In Volo?”. Come cuoca cominciai preparando i pasti serali. Avevo imparato a usare tutti gli strumenti necessari. In casi di necessità, chiedevano a me di sostituire il cuoco.

Durante gli incontri dei gruppi di auto-aiuto raccontavo la mia storia alle ragazze nuove arrivate. Per loro era di grande stimolo. Il mio percorso come esempio cui tendere.

Allo scadere del tirocinio mi chiesero la disponibilità per un’esperienza completamente diversa, a Bologna, come cuoca. Non conoscevo nulla di Casa Padre Marella, neppure sapevo che ospitava malati di Aids. Dentro di me dissi subito: “Sì”.

Mi si spezzava il cuore all’idea di lasciare In Volo: per me era una famiglia. Ma sentivo che era necessario.

Come cuoca, a Casa Padre Marella oggi preparo pranzi e cene per i 14 ospiti, talvolta per chi frequenta gli appartamenti al piano di sopra. Oltre che per gli operatori, naturalmente. Si cucina in maniera diversa rispetto a In Volo, dove si preparava singolarmente ogni piatto, a seconda delle caratteristiche delle ospiti. Qui lavoro con padelle enormi e pentoloni. Cambiare città è stata una grande opportunità di crescita.

Una città mai vista, nuove persone, un’altra Comunità, un contesto che non conoscevo: mi sono dovuta mettere nuovamente alla prova. Ho scoperto risorse, capacità, esigenze e bisogni che prima rimanevano nascosti Non sono pretenziosi gli ospiti, ma quando c’è qualcosa di appetitoso apprezzano. Ho imparato a fare il ragù, la pasta coi carciofi, l’arrosto con le patate al forno. Scelgo il cibo e lo preparo come tutte le altre persone.

Convivo con un’amica e collega di lavoro, facciamo la spesa e prepariamo tutto assieme.

Preparo da mangiare perché mi va. Mi sento normale.

*Ex ospite In Volo, cuoca con il CEIS