La Residenza si rivela, da subito, un’esperienza assolutamente innovativa. Intreccia in maniera virtuosa, sul piano della diagnosi e del trattamento, l’approccio multidisciplinare integrato previsto dalle linee guida nazionali ed internazionali con, riguardo l’alimentazione, la “Riabilitazione Psiconutrizionale Progressiva”.
Parliamo, in sostanza, di un vero e proprio percorso di recupero in cui si fondono alcuni valori centrali di “Progetto Uomo” con le nuove esigenze e i bisogni espressi da questo tipo di dipendenza, molto diversa da quelle che storicamente il CEIS ha sempre affrontato.
Spinti dalla consapevolezza dell’importanza del lavoro che si stava facendo, dai risultati positivi riscontrati con le ospiti e un po’ anche dalla “follia” di padre Giuliano, nel 2018 si decise di lasciare l’Appennino e di trasferire la Comunità in una struttura totalmente nuova, destinata in modo specifico a questa problematica.
Nel 2019, In Volo inaugura a Parma città e rapidamente cresce. Non solo sviluppa il percorso residenziale, ma si apre anche all’attività diurna e semi-residenziale.
“L’obiettivo è ricostruire un vero e proprio rapporto tra le ragazze e il cibo. Andando a una quotidiana contrattazione con le ospiti e a una costante riprogrammazione della loro dieta. Che consenta loro non solo di riprendere peso, ma anche l’amore e un rapporto sano con il cibo”. L’esperienza e la storia di In Volo, nel decennale della sua apertura, viene raccontata da Roberto Berselli, vice presidente del Consorzio Gruppo CEIS e già presidente del Centro di Solidarietà l’Orizzonte.
Stefania Pasella, responsabile della struttura: “Il nostro modello prevede il coinvolgimento delle famiglie in un percorso di accompagnamento e responsabilizzazione. L’obiettivo è che, al momento delle dimissioni, le ragazze siano in grado di mangiare con i propri familiari e in situazioni sociali conviviali”.
Flavia Onofrio, ex ospite di In Volo, oggi cuoca per il CEIS: “Soffrivo di anoressia nervosa, tra i disturbi del comportamento alimentare uno dei più conosciuti. Oggi ho una vita e un mestiere: Ho ritrovato l’identità, l’autostima, il valore di me stessa. Prima mi sentivo un nulla, volevo scomparire attraverso la malattia. Con l’aiuto degli operatori, che mi vedevano come persona e non solo come malattia, mi sono sentita considerata. Loro sapevano chi era Flavia, io ancora no. Mi hanno insegnato a scoprire la vera me stessa. Possiamo conoscerci attraverso le nostre esperienze, in solitudine. Ma è soprattutto attraverso gli altri che impariamo davvero a conoscere noi stessi…”.
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