16 Maggio 2024
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ono passati trent’anni, eppure Rosa Bolzon, operatrice storica, coordinatrice e oggi presidente della cooperativa sociale CEIS A.R.T.E. lo ricorda come fosse ieri. “Fu un avvio turbolento. La sera in cui se ne parlava, nella casa dei dehoniani, un temporale fece sì che la luce sparisse. Un segno del destino: dal buio sorse la ‘luce’ di Casa San Lazzaro. La parrocchia e il Consiglio pastorale misero a disposizione i locali, ma immediatamente scoppiò una sollevazione popolare, con tanto di assemblea aperta di tutto il vicinato, raccolta di firme e addirittura una causa, che alla fine vincemmo noi. Furono comunque i volontari, raccontando le loro esperienze di vicinanza e sostegno ai malati di Aids, a dare una svolta”.

L’esperienza delle Comunità terapeutiche è segnata negli anni ’90 dalle tante perdite legate all’Aids. Una moltitudine di giovani che pure uscivano positivamente dal loro faticoso percorso terapeutico moriva poi a causa di questa terribile pandemia.

Fu così che nel 1991 padre Giuliano accolse l’invito del Reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale di Modena di aprire una Casa Alloggio. Un’impresa non semplice. Si trattò di superare la diffidenza e il preconcetto del vicinato, di comprendere che l’esperienza non era solo assistenziale, ma necessitava di un vero e proprio percorso educativo, di progetti individualizzati.

Insomma, che anche in questo caso era necessario fare “qualcosa di più” per rendere le persone protagoniste.

Oggi le Case Alloggio per malati di HIV sono due.

Di queste due esperienze parlano Fiorella Cavazzi, responsabile di Casa San Lazzaro a Modena, e Lara Guzzinati, responsabile di Casa Padre Marella a Bologna.  Cosa significa lavorare, soprattutto nei primi anni, con la morte, come accogliere e al tempo stesso dare delle regole per aiutare a crescere.

“Casa San Lazzaro è un ambiente che obbliga a guardarti allo specchio. A fare scelte personali, a prendere una posizione con te stesso. Se seguire questa strada o lasciarla. La bellezza della Casa è che ti prendi cura della persona a 360 gradi. Sfugge spesso il fatto che ci troviamo di fronte a persone che hanno malattie importanti, ma è soprattutto la mancanza di una vita con relazioni positive che affrontiamo e che costruiamo insieme”.

“Casa Padre Marella rappresenta un ambiente famigliare che permette agli ospiti di affrontare i problemi e le conseguenze pratiche e psicologiche connesse alla malattia, ma non solo. La Comunità vuole essere anche un luogo di accoglienza, di incontro e condivisione di storie, emozioni, interessi e momenti di festa, di socializzazione, di apertura alla città di Bologna”.

Un lavoro complesso, dunque, che sollecita in modo profondo gli operatori. Accanto alle Case Alloggio sono presenti degli “appartamenti” per consentire sempre, ove possibile, un’evoluzione del percorso, un riappropriarsi della propria vita. Come per Bruno, che resta “agganciato” alla struttura, ma cerca di costruire un suo percorso di autonomia.