di Daniele Bisagni*
L’avvio del mio percorso all’Istituto Toniolo risale al 2013. Ho iniziato come docente invitato e successivamente sono diventato docente stabile. Di recente, sono impegnato in una nuova, affascinante sfida: ricoprire il ruolo di Direttore.Una responsabilità e un privilegio in un tempo non facile, sia per ciò che accade in genere nel mondo che, nello specifico, nel contesto educativo. In questo percorso, certamente non mi sento solo ma sostenuto e accompagnato da tanti.
Mi ritengo fortunato perché continuo anche ad insegnare due materie che amo profondamente: Psicologia Sociale e Dinamica di Gruppo. Queste materie hanno segnato sia il mio percorso di crescita universitario che quello professionale. Ho incontrato in questi anni tanti studenti “coraggiosi” che mi hanno interrogato costantemente nel mio ruolo di docente. Ho incontrato docenti che già conoscevo per altre esperienze condivise e nuovi compagni di viaggio tutti impegnati nel perseguire un obiettivo importante: rendere visibile e dare valore al ruolo strategico dell’educatore.
Una parola che senz’altro contraddistingue il lavoro comune di docenti e studenti è la parola sfida. Sfida è apprendimento, ricerca della consapevolezza e riconoscimento del limite, crescita e assunzione di responsabilità. L’evoluzione del Toniolo fa sì che oggi non sia più solo una risposta, una possibilità ma anche una proposta.
In questo periodo è in atto un abbandono della professione da parte di educatori ed educatrici, e sta diventando sempre più difficile trovare personale per i molteplici servizi che prevedono questa figura.
Si tratta di ruoli cruciali e trasversali al sistema di welfare, ma che purtroppo si stanno scontrando sempre più spesso con diverse evidenti criticità: una retribuzione molto ridotta, ma anche condizioni di lavoro estremamente complesse. In aggiunta, l’emergenza è esplosa nel post-pandemia, come reazione alla fragilità contrattuale sperimentata in tale periodo: mentre i dipendenti pubblici sono stati in qualche modo tutelati durante il periodo di chiusura, nel Terzo Settore in molti casi non si è beneficiato di analoghe protezioni, con la conseguente scelta di migrare nel mondo della scuola pubblica. L’esodo sta tuttora proseguendo, dirigendosi anche verso la ricerca di impieghi non necessariamente di carattere educativo, mettendo a rischio la tenuta di servizi fondamentali per bambini/e, adolescenti, adulti e famiglie.
Tra gli obiettivi che abbiamo qui all’Istituto Toniolo, compare di quello di creare educatori consapevoli, radicati nell’esperienza, convinti del proprio ruolo, che non si lasciano sopraffare dalla passività e dalla demotivazione. Diventa dunque importante promuovere l’atteggiamento del guardare. Guardare in modo olistico comprende numerose azioni: osservare in modo diretto, “sentire” ciò che accade dentro e fuori le persone, attribuire significati al proprio sentire ed al proprio vedere. Per collocarsi nella storia e nelle storie è importante guardare al presente, al passato ed al futuro.
Alle Università oggi viene poi anche chiesto di impegnarsi per la “terza missione”. Oltre all’insegnamento e alla ricerca si chiede di aver un impatto sulla società e di mettere a disposizione le risorse e l’esperienza accademica per affrontare le sfide sociali e culturali.
Pertanto, possiamo fare nostre senz’altro quattro piste di lavoro, proposte nel documento base dell’Agorà delle educatrici e degli educatori dello scorso anno, per uscire dal diffuso senso di malessere che mette a repentaglio i servizi della società attuale.
1) Pensarsi insieme e non da soli. Individualmente si può essere fragili, ma collettivamente si può essere più influenti, secondo una logica della reciprocità e del mutuo sostegno.
2) Rendere più visibile e comprensibile il lavoro educativo. In Italia persiste un retaggio culturale legato alle professioni educative, che spesso non vengono associate ad un vero e proprio lavoro retribuito, mentre prevale la convinzione di un’attività di intrattenimento a stampo fondamentalmente volontaristico. Pertanto, occorre portare avanti una sfida culturale, rafforzando la consapevolezza della dignità di un ruolo, raccontando la densità emotiva e cognitiva che una figura educativa vive costantemente, in un impiego fatto di conoscenze, competenze, metodologie attive, visioni etiche e politiche, capacità di dialogo.
3) Costruire alleanze. Chiaramente, la scarsità di risorse del welfare non consente di retribuire adeguatamente i professionisti che operano nel sistema, pertanto diviene più generativo costruire legami tra i professionisti educativi e le loro organizzazioni di lavoro, senza mettersi gli uni contro le altre.
4) Non individualizzare, ma politicizzare la questione. Al giorno d’oggi, è importante dedicarsi a costruire soluzioni collettive: il fermento del mondo educativo può essere inteso come un movimento per il bene comune, per approdare a forme di riconoscimento che tutelino la dignità del lavoro svolto.
A questi quattro punti se ne possono infine aggiungere altri.
- “Cathedral thinking”. Il concetto di “pensiero della cattedrale” per definire l’approccio al futuro adottato da architetti, scalpellini e artigiani nel Medioevo, che iniziavano con fatica la costruzione di imponenti edifici che sapevano bene di non poter vedere completi, con impegno e determinazione, ispirati dal desiderio di essere parte di un futuro maestoso ed imponente. In questi termini, la fiducia nei confronti del futuro può andare oltre i rischi e i timori quando risiede nel valore di ciò che si sta facendo, e nei benefici che ne trarranno le generazioni future. C’è bisogno di testimoni, di persone che credano nel futuro dell’educazione e che lo insegnino con convinzione.
- Ascoltare ciò che arriva dal contesto. L’attenzione all’ambiente circostante diviene infatti centrale per proporre progettualità efficaci e pertinenti.
- Avere nella propria borsa non solo attrezzi, ma anche domande. Risulta fondamentale mantenere una curiosità di fondo, il desiderio di studiare e formarsi per rendere sempre più nuovo il sapere.
- Gestire la negatività. Intendendo quest’ultima come una massa di problemi spesso accompagnati da coloriture di ansia e stress, da episodi frequenti di divergenze e conflitti, come patina di malessere tipico di ogni gruppo o contesto, la figura educativa non può solo essere una mera esecutrice, ma può adoperarsi per accogliere tali vissuti, sentirli e trasformarli.
- Coltivare la grande potenza della speranza nell’indirizzare la percezione del futuro.
Utilizzare il potere dell’immaginazione. La progettualità creativa rappresenta infatti la modalità principale per costruire proposte sorprendenti.
Come sottolineava un grande educatore, il Cardinale Carlo Maria Martini:“Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma, se non si semina è certo che non ci sarà raccolto.”.
*Direttore Istituto “Giuseppe Toniolo”