di Boze Klapez*
Sono stato il responsabile della Comunità La Barca dall’apertura, nel giugno 1997, fino al 2003.La Legge Basaglia, la famosa 180, disponeva la chiusura di quelli che venivano comunemente chiamati manicomi.
D’intesa con i servizi sanitari, come CEIS pensammo che all’interno di una Comunità gli ospiti potevano vivere e relazionarsi meglio che in una struttura ospedaliera e per questo ci offrimmo di ospitarli.
La Barca ospitò quindi quindici utenti provenienti dall’ospedale psichiatrico e uno dall’ospedale giudiziario di Reggio Emilia. Le differenze di funzionamento tra un ospedale e una Comunità erano e sono enormi.
In ospedale i ragazzi venivano trattati da pazienti e curati da specialisti. In Comunità erano considerati “persone attive”, sostenuti da personale dedicato, ma chiamati ad essere “responsabili”.
All’inizio la Comunità era vista con molta diffidenza da parte dei familiari degli utenti, ma con il tempo siamo riusciti a far cambiare questa percezione.
Ricordo l’apertura de La Barca come fosse ieri: era il 16 giugno 1997. Prima di prendere il pullmino per andare a Reggio Emilia a caricare i primi ospiti, passai dalla Comunità. Tutto era preparato a puntino: i letti, le coperte, gli asciugami… Buttai tutto all’aria, quasi con stizza, tanto che poi mi scusai con gli operatori. “I letti e tutto il resto si fanno assieme… Se non riescono li aiutiamo. Ma dopo, non prima…”.
Con il passare dei giorni gli ospiti hanno imparato a essere, per quanto possibile, autonomi. Fino a prepararsi la colazione, fare una passeggiata nel parco e così via.
Ma continuavo a ripetermi: “In questo modo la giornata non ha alcun significato per loro…”. Abbiamo così deciso di “riempire” i giorni di piccole attività. Nei primi incontri, alle attività iniziali, semplici come leggere il giornale o fumare una sigaretta insieme, partecipavano solo gli operatori, gli ospiti restavano in disparte.
Poi qualcuno degli ospiti, seppur timidamente, si è avvicinato chiedendo di partecipare. L’hobby di tutti divenne ben presto la lettura dell’oroscopo sul quotidiano locale. Le pulizie delle camere e dei locali diventarono così un’abitudine condivisa, anche se servivano ore all’inizio. Ci si appassionava, si spronavano a vicenda perché finiti i lavori si usciva per andare al bar a prendere il caffè.
Le giornate erano “piene”, l’aggressività degli ospiti diminuiva. Nell’arco di sei mesi la farmacoterapia calò in maniera sensibile. Perché le persone cominciavano a stare meglio, a dare un senso a sé stessi e alla loro vita.
*Primo Responsabile Residenza La Barca