di Stefano Carafoli*
Sono 25 anni che lavoro a La Barca, dal 16 giugno 1997, giorno della sua apertura. Come dire: La Barca è cresciuta con me. Ho iniziato che avevo trent’anni, il direttore era Boze Klapez.Da Comunità ora siamo Residenza riabilitativa, ma i valori e i concetti base, così come il lavoro di gruppo, sono rimasti quelli di allora.
Abbiamo cominciato con persone che venivano dal manicomio di Reggio Emilia, dall’ospedale psichiatrico San Lazzaro. Ci siamo “fatti le ossa” così, come si dice.
Come CEIS avevamo la cultura e la tradizione delle Comunità per tossicodipendenti. Non è stato facile trasportare questo modello su persone che avevano alle spalle 30 anni di manicomio, si faticava a capire quanto fossero compromesse dalla malattia o quanto avessero inciso il luogo e le modalità con cui erano state trattate.
Quando cominciarono ad arrivare persone in carico ai servizi ed è iniziata la collaborazione con i Centri di salute mentale è stata dura, ci sentivamo “ignoranti” ed inesperti, mentre medici e psichiatri non erano abituati a lavorare in gruppo, in rete. Abbiamo “studiato” per formarci, per ottenere fiducia e riconoscimento da parte dei servizi.
La Comunità fu poi spostata da Modena a Cognento, piccola frazione in campagna. Il trasferimento ha coinciso con la sua trasformazione in Residenza dedicata al trattamento riabilitativo a carattere estensivo, accreditata in ambito regionale.
Siamo diventati una Residenza sanitaria: non si parla più di un luogo di vita, dove potersi fermare anche anni, ma di cura, per un periodo prestabilito di tempo, massimo 24 mesi.
L’altro aspetto importante è che non sempre i servizi esterni sono pronti ad ospitare persone che fanno “fatica”. I posti dove possono andare gli utenti ospitati a La Barca non sono tanti, e spesso faticosi da raggiungere.
Da alcuni anni, da quando il Dipartimento di salute mentale, con il quale abbiamo una convenzione, ci ha riconosciuto come una Residenza riabilitativa, il target delle persone è cambiato.
Se prima avevamo una fascia prevalente sui 50/55 anni, adesso l’età media degli ospiti è di 45 anni, con estremi che vanno dai 25 ai 60, in prevalenza maschi.
Persone che soffrono di una patologia psichiatrica medio/grave, che hanno perso un ruolo sociale perché la malattia psichiatrica nelle forme più gravi impedisce di rispondere a quelli che sono i criteri di normalità e quindi di svolgere un ruolo lavorativo, di genitore, compagno o amico.
Questo non perché si diventa completamente incapaci o non si è delle buone persone, tutt’altro.
Ma perché mantenere relazioni e impegni, soprattutto in ambito lavorativo, per queste persone è difficile. Hanno storie molto diverse tra loro. Sono inviate dal Dipartimento di salute mentale di Modena, in carico agli psichiatri dell’AUSL che rimangono i referenti e ci danno un mandato.
All’inizio osservativo/esplorativo, per capire il grado di autonomia di queste persone che magari provengono dalle loro case ma non sono più in grado di andare avanti. Altre sono già state ricoverate varie volte, oppure ospiti di Residenze.
Ci sono persone che assumono farmaci, in grado di poter lavorare su di sé, di stare sufficientemente bene da provare a riabilitarsi. Negli ultimi anni molte persone ricoverate a La Barca sono poi riuscite a tornare a casa, magari con un supporto, un’assistenza domiciliare, una badante.
Hanno completato un processo di guarigione che non è l’assenza del sintomo, ma riuscire a vivere una vita soddisfacente. I sintomi calano grazie ai farmaci, alle attività in Residenza e a un percorso di consapevolezza. Ma il merito è sostanzialmente loro.
A La Barca opera un’équipe multidisciplinare: dal tecnico della riabilitazione psichiatrica all’educatore, allo psicologo, a infermieri e operatori socio-sanitario. Il direttore sanitario è psichiatra.
Come per tutto il CEIS, il lavoro in équipe è il valore aggiunto. Quando si lavora bene si riescono a gestire quei conflitti che sono umanamente e professionalmente normali.
Il nostro modo di lavorare lo definirei “a foglia di cipolla”. Per progetti personalizzati, per cui ogni ospite ha un tutor che redige un progetto personalizzato insieme ai servizi, alla famiglia, alla rete.
Abbiamo tanti tipi di gruppi terapeutici: sulle emozioni, psico-educazionali, gruppi che si occupano della gestione della malattia e della guarigione.
Si “compattano” le persone per il raggiungimento degli obiettivi contenuti nel progetto personalizzato.
Questo è il lavoro che viene fatto in Residenza, insieme alla gestione della quotidianità. Ovvero la cura di sé e degli spazi.
C’è poi il pezzo “fuori”. La nostra Residenza, nell’ambito delle strutture dei servizi della sanità mentale, è l’ultima prima del socio-sanitario. Significa che siamo deputati a fare in modo che le persone poi “escano”, possano tornare a casa loro, nei luoghi di aggregazione.
A Modena, per esempio, ci sono il “Social point”, “Idee in circolo”, “Insieme a noi”, realtà che si ritrovano tutte insieme intorno al Dipartimento di salute mentale, che in questi anni ha avuto la buona idea di interagire con le associazioni esterne, mettendo in campo poi una serie di eventi e iniziative di sensibilizzazione importanti come “Màt-Settimana della salute mentale” che si tiene ogni anno.
C’è un altro aspetto che è importante sottolineare.
La legge ora dice che le persone a La Barca per più di due anni non possono stare. La nostra Residenza sta lavorando molto e da tempo, al suo interno, per cambiare filosofia, aggiornare il suo modo di essere.
Il valore dell’accoglienza rimane, ma “spingiamo” gli ospiti a trovare le motivazioni per tornare fuori. Ospitavamo persone che venivano dal manicomio e La Barca diventava la loro casa. Oggi la missione che abbiamo è aiutare le persone a riabilitarsi, ad acquisire un ruolo sociale all’interno della Comunità, tenendo conto della propria malattia.
Un processo di “recovery”, di guarigione, che non parla dell’assenza del sintomo, ma di un nuovo equilibrio.
*Responsabile Residenza La Barca